Cioran su Eliade: non era credente

[Poco tempo dopo la morte di Eliade, avvenuta nel 1986, Cioran, suo grande amico e compatriota, scrisse un pezzo commemorativo su una rivista, pezzo che viene riportato in appendice al secondo volume dell'autobiografia di Eliade e di cui qui riporto un estratto. Cioran sostiene che Eliade non era credente. E qui ci ricolleghiamo al discorso del brano precedente a proposito di Jung. Si può fare ricerca scientifica seria, neutra, imparziale, calandosi completamente nella mentalità delle culture di cui si descrivono le credenze e le simbologie; se ne possono smontare e spiegare tutte le impalcature; si può provare un'umana simpatia per tutte queste elaborazioni dello spirito umano in ambito mitologico-religioso e rimanere saldi nella fede ereditata dalla propria cultura come se nulla fosse? Può un credente, un vero credente, non essere assolutamente convinto che la sua, e solo la sua fede, sia quella giusta, e al tempo stesso, da studioso serio, analizzare tutte le altre credenze con equanimità, comprendendole tutte "dal di dentro", stimandole tutte come manifestazioni dell' "homo religiosus"? Me lo sono spesso domandato leggendo le mirabili opere di Eliade. Per cui, a mio avviso, qui Cioran coglie nel segno]

Ma il rimprovero più grave che ho avuto la sfrontatezza di rivolgergli [è Cioran che parla di Eliade] è di essersi occupato di religioni senza essere uno spirito religioso. È un soggetto che non abbiamo mai abbordato direttamente ma è certo che le mie riserve più o meno esplicite su un punto così capitale non potevano che dispiacergli. Si trattava da parte mia di un'obiezione fondata? Diciamo piuttosto un'ipotesi che è poi degenerata in convinzione. Alcune settimane prima di lasciarci, in un'intervista concessa a un giornalista che faceva allusione al mio rimprovero, rispose che il suo atteggiamento di fronte alle religioni non era per nulla quello di uno studioso. «Mi sforzo di comprendere», precisò. Senza dubbio, ma lo studioso non fa altro. E se si comprendono tutti gli dei, è che non ci si interessa realmente a nessuno. Un dio esiste per essere adorato o insultato. Non si può immaginare un Giobbe erudito.

Se m'intestardisco a sostenere che Eliade non era un credente e che non era predestinato ad esserlo, è perché non lo vedo limitarsi in profondità, senza di che nessuna ossessione è possibile, e la preghiera è una di queste, la più grande di tutte. Era ossessionato solo dal fare, «dall'opera», dal rendimento nel senso più nobile del termine. Quando gli dicevo che non «lavoravo» quasi mai, non voleva e non poteva comprendermi. Era totalmente estraneo a ogni genere di nichilismo, anche metafisico. Ignorava in un grado inimmaginabile la seduzione della pigrizia, della noia, del vuoto e del rimorso. Chi era dunque? Credo di poter rispondere: uno spirito aperto a tutti i valori propriamente spirituali, a tutto ciò che resiste al morboso e ne trionfa. Credeva alla salvezza, era visibilmente dalla parte del Bene, scelta non priva di pericolo per uno scrittore, ma provvidenziale per chi respinge il fascino della negazione  o del disprezzo.


Mircea Eliade, Le messi del solstizio. Memorie 2. 1937- 1960, Jaca Book, 1995, p. 206.

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