Le religioni come apportatrici di senso

[Passaggio illuminante per capire la posizione di Jung nei riguardi della funzione del mito religioso nella vita dell'uomo. Si percepisce sempre la solita ambiguità di Jung. Una ambiguità talvolta persino irritante: è credente? non è credente? Quand'anche lo fosse, può un credente arrivare a osservare così "dall'alto", in modo così scientificamente disincantato il fenomeno religioso e rimanere tale?]


L'uomo moderno può affermare di poterne fare a meno [delle idee religiose] e può sostenere la sua opinione insistendo nel dire che non esiste alcuna prova scientifica a sostegno della loro veridicità. Ovvero egli può anche rimpiangere la perdita delle sue convinzioni. Ma dal momento che si tratta di cose invisibili e inconoscibili (poiché Dio sta al di là di ogni capacità di comprensione umana e l'immortalità non è dimostrabile in alcun modo), perché dobbiamo perderci nella ricerca di prove razionali? Anche se non fossimo consapevoli della nostra necessità di consumare il sale insieme al cibo, continueremmo pur sempre a trarre vantaggio dal suo uso. Anche se sostenessimo che l'uso del sale è una semplice illusione del palato o della superstizione, esso continuerebbe a produrre un benefico effetto sulle nostre condizioni di vita. E allora, perché dovremmo fare a meno di concezioni che si dimostrano utili nei momenti di crisi e che danno un significato alla nostra esistenza?

E inoltre, come possiamo essere sicuri che tali idee non corrispondano a verità? Molti mi darebbero ragione se dicessi che esse sono probabilmente semplici illusioni; essi però non arrivano a capire che la negazione di ogni fede religiosa è altrettanto non dimostrativa che la sua affermazione. Noi siamo assolutamente liberi di scegliere l'uno o l'altro dei due punti di vista; tuttavia si tratta sempre di una decisione arbitraria. [Non così arbitraria, a dire il vero, dato che l'onere della prova è sempre a carico di chi afferma l'esistenza di qualcosa, e non viceversa. Questo è un argomento veramente trito e molto debole a favore della scelta di credere]

In ogni caso c'è un'importante ragione pratica per la quale dovremmo essere inclini a coltivare pensieri non suscettibili di ottenere una conferma positiva: tale ragione è che essi sono notoriamente utili. L'uomo ha assolutamente bisogno di idee e di convinzioni generali che diano un significato alla sua vita e che gli permettano di individuare il suo posto nell'universo. Quando è convinto che esse abbiano un senso, egli trova la forza di affrontare le più incredibili avversità; viceversa egli si sente sopraffatto quando, nel colmo della sventura, si trova costretto ad ammettere di essere coinvolto in una vicenda senza senso. [Ecco, qui siamo invece di fronte ai tipici argomenti utilitaristici: la religione va creduta in quanto utile. Il problema però è che se si è già arrivati al punto di capire che si tratta di una questione di utilità, cioè di beneficio psicologico, sociale, ecc., allora è ben difficile conservare quell'ingenuità che permette pascalianamente di s'abêtir, e di ricevere i benefici di questo abêtissement. Mi torna in mente quel passo di Prezzolini in Dio è un rischio. ] 

La funzione dei simboli religiosi è quella di dare un significato alla vita dell'uomo. Gli Indiani Pueblo credono di essere figli del Padre Sole e questa fede conferisce alla loro vita una prospettiva (e uno scopo) che supera di gran lunga la loro limitata esistenza. Essa consente loro di dispiegare largamente la lor personalità e di vivere una vita piena, da persone integrali. La loro condizione è infinitamente più soddisfacente di quella dell'uomo civilizzato, che è consapevole di essere (e di restare) nient'altro che uno sconfitto senza alcun profondo significato esistenziale. [Eppure c'è molta gente che non crede nei miti religiosi e riesce ugualmente a trovare un senso alla vita e un motivo per impegnarsi in grandi cose. Certo, non è un senso che si immagina calato dall'alto da un dio: è un senso la cui origine è consapevolmente umana. Ma qui forse Jung ha in mente l'uomo comune, che ha perso la fede nel dio della tradizione ma non è sufficientemente attrezzato per sostituirla con qualcos'altro di altrettanto efficace.]

Il senso di un significato superiore dell'esistenza è ciò che innalza l'uomo al di sopra della sua condizione elementare. Se gli manca questo senso egli è perduto e infelice. Se san Paolo fosse stato convinto di non essere nulla più che un errabondo tessitore di tappeti, certamente non sarebbe stato l'uomo che fu. La sua vita vera e significativa riposava sull'intima certezza di essere il messaggero del Signore. Qualcuno potrà accusarlo di essere stato un megalomane, ma una opinione come questa si rivela inconsistente di fronte alla testimonianza della storia e al giudizio di intere generazioni. Il mito che s'impossessò di lui lo rese qualcosa di più grande del semplice artigiano che era.


Carl Gustav Jung, L'uomo e i suoi simboli, Longanesi, 1980, pp. 69-70.

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