Manifestazioni dell'inconscio e mentalità primitiva

Nella nostra esperienza quotidiana noi abbiamo bisogno di definire le cose il più accuratamente possibile e abbiamo imparato perciò a scartare gli orpelli della fantasia sia nel linguaggio che nei pensieri, venendo a perdere in tal modo una qualità che è tuttora caratteristica della mentalità primitiva. La maggior parte di noi ha depositato nell'inconscio tutte le associazioni psichiche fantastiche che ogni oggetto o idea possiede. D'altra parte, il primitivo è ancora consapevole di queste proprietà psichiche e attribuisce ad animali, piante o pietre alcuni poteri che ai nostri occhi appaiono strani e inaccettabili.

Per esempio, un abitatore della giungla africana scorge di giorno un animale notturno e ritiene che si tratti di uno stregone che abbia temporaneamente assunto quella sembianza. Oppure può considerarlo come l'anima della foresta o lo spirito ancestrale di uno della sua tribù. Un albero può svolgere un ruolo vitale nell'esistenza di un primitivo in quanto esso possiede la sua anima e la sua voce e l'individuo in questione sarà convinto di condividerne il destino. Nel Sudamerica ci sono alcuni indiani che vi assicurano di essere pappagalli Arara rossi benché siano ben consapevoli di non avere né penne né ali né rostro. Ciò dipende dal fatto che nel mondo dei primitivi le cose non hanno gli stessi netti contorni che esse possiedono nelle nostre società « razionali ».

Ciò che gli psicologi chiamano identità psichica o « partecipazione mistica » è stato tagliato fuori dal mondo della nostra esperienza. Tuttavia è proprio questo alone di associazioni inconsce a fornire un aspetto colorito e fantastico al mondo dei primitivi. Noi lo abbiamo perduto a tal punto che, anche quando ci ritroviamo in sua presenza, non siamo in grado di riconoscerlo. In noi queste cose risiedono al di sotto della soglia della coscienza; quando tornano occasionalmente ad affiorare insistiamo nel dire che c'è qualcosa che non funziona.

Più di una volta sono stato consultato da persone colte e intelligenti che avevano avuto sogni particolari, fantasie o perfino visioni da cui erano rimaste profondamente impressionate. Esse partivano dal presupposto che nessun essere normale di mente può soffrire di questi disturbi e che chiunque abbia una visione deve inevitabilmente soffrire di uno stato patologico. Un teologo mi disse una volta che le visioni di Ezechiele altro non erano che sintomi morbosi e che quando Mosè e altri profeti udivano « voci », essi soffrivano di allucinazioni. Potete immaginare il panico in cui cadde quando gli capitò personalmente e in modo del tutto « spontaneo » un fenomeno di questo tipo. Noi siamo talmente abituati alla natura apparentemente razionale del mondo in cui viviamo, che ci è difficile immaginare il verificarsi di un evento che non possa venire spiegato sulla base del senso comune. Di fronte a un'impressione di questa specie, l'uomo primitivo non dubiterebbe della sua integrità mentale, ma attribuirebbe il fenomeno a feticci, spiriti o divinità.

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Non possiamo permetterci di essere ingenui nell'interpretazione dei sogni. Essi hanno origine in uno spirito che non è affatto umano, ma che costituisce piuttosto un respiro della natura: uno spirito di questa divinità altrettanto bella e generosa quanto crudele. Se vogliamo caratterizzare tale spirito, dovremo andarlo a studiare, più che nella coscienza dell'uomo moderno, nella sfera delle antiche mitologie o nelle leggende primordiali della foresta. Non voglio certo negare che siano risultati grandi vantaggi dall'evoluzione della società civilizzata, ma tali vantaggi sono stati ottenuti al prezzo di perdite enormi della cui entità abbiamo appena cominciato a renderci conto. Facendo confronti tra lo stato primitivo e quello civilizzato dell'uomo ho avuto per scopo, in parte, quello di mostrare il rapporto tra le perdite e i vantaggi acquisiti.

L'uomo primitivo era governato dai propri istinti molto più profondamente dei suoi moderni discendenti « razionali », che hanno imparato a « controllarsi ». Nel corso di questo processo di civilizzazione noi siamo venuti scindendo sempre di più la nostra coscienza dagli strati profondi istintivi della psiche umana e infine anche dalla base somatica del fenomeno psichico. Fortunatamente non abbiamo perduto questi strati istintivi di fondo: essi continuano a far parte dell'inconscio anche se possono trovare espressione solo sotto forma di immagini oniriche. Questi fenomeni istintivi, che possono anche non venire sempre riconosciuti per quello che sono, dato il loro carattere simbolico, svolgono un ruolo vitale in quella che io ho definito la funzione compensatrice dei sogni.

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È pur vero, d'altra parte, che nei tempi recenti l'uomo civilizzato ha acquisito un'energica forza di volontà che egli applica nelle più diverse occasioni. Egli ha imparato a svolgere efficacemente il proprio lavoro senza ricorrere a canti o a tamburi per ipnotizzarsi e spingersi ad agire. Egli può anche fare a meno della preghiera quotidiana per invocare l'aiuto divino; egli arriva a fare da solo ciò che vuole e a tradurre apparentemente le sue idee in azione senza alcun inciampo, mentre l'uomo primitivo sembra condizionato a ogni passo da timori, superstizioni e altri ostacoli invisibili che si frappongono fra lui e l'azione. Il motto « Volere è potere » è la superstizione dell'uomo moderno.

Eppure l'uomo contemporaneo, pur di mantenere viva questa fede, paga lo scotto di una grave mancanza di introspezione. Egli resta cieco al fatto che, pur con tutta la sua razionalità e la sua efficienza, « forze » non controllabili lo tengono ancora in loro balìa. I suoi dèi e i suoi demoni non sono affatto scomparsi: hanno solo cambiato nome. Essi lo tengono in uno stato d'agitazione incessante attraverso vaghe apprensioni, complicazioni psicologiche, un bisogno insaziabile di pillole, di alcool, di tabacco, di cibo e soprattutto imponendogli un pesante fardello di nevrosi.


Carl Gustav Jung, L'uomo e i suoi simboli, Longanesi, 1980, pp. 26-26, 32, e 65.

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