Le anime dei morti e la spiritualizzazione della natura nelle società primitive

[...] nella maggior parte delle culture le anime dei morti non sono considerate persone; piuttosto esse sono qualcosa che le persone possono lasciare quando muoiono. Un Nyoro che vuole minacciare qualcuno invocando la vendetta dell'anima di un morto non dice: « Ti perseguiterò dopo essere morto! ». Egli dice, letteralmente: « Ti lascerò l'anima di un morto! ». Tuttavia si crede che le anime dei morti, a differenza di altri tipi di spiriti, siano state una volta delle persone, e ciò stabilisce una certa continuità fra il mondo delle anime dei morti ed i viventi. Parte della personalità di un individuo quando era vivo caratterizza la sua anima dopo la morte, ma nella maggior parte delle culture si pensa che le qualità più delicate e più « umane » della sua personalità siano perdute. Generalmente, anche se non sempre, le anime dei morti sono ostili. È quanto ci aspetteremmo, dal momento che come altre entità soprannaturali, sono importanti ai fini sociali soltanto quando si verificano malattie o altre disgrazie. Di solito si pensa che quanto resta di una persona dopo la morte è il potere che essa aveva in vita, trasferito su un altro piano. Perciò in molte culture le anime di coloro che erano potenti, ricchi e occupavano posti di rilievo sono le più temute; le anime dei bambini e dei poveri di solito sono ignorate e vengono presto dimenticate. Inoltre, l'anima di un parente prossimo, o di una persona con la quale esisteva un rapporto particolarmente stretto (per esempio una relazione di alleanza del sangue), è spesso considerata quanto mai potente. In molte culture, se un uomo ha offeso qualcuno legato a lui da un simile rapporto, e se quella persona muore, è molto probabile che qualsiasi malattia o altra disgrazia che colpisca il colpevole venga attribuita all'anima dell'uomo cui ha fatto del male.

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A quasi ogni forza che può riguardare gli esseri umani si può attribuire ed è stata attribuita una realtà spirituale. Le forze primordiali della natura: il sole e la luna, la pioggia, il tuono e il lampo, i laghi e i fiumi, le montagne, le foreste e i deserti; tutte queste forze sono state concepite come spiriti, e sono divenute oggetto di culto e sacrifici. Spesso una data personalità viene attribuita in questo modo ai singoli posti, alberi, rupi e corsi d'acqua, soprattutto se qualche avvenimento straordinario e inspiegabile è stato collegato a essi. In modo particolare si attribuiscono a entità spirituali le malattie che colpiscono uomini e animali. Per uomini che non conoscono i vantaggi della scienza medica moderna, è comune attribuire all'attività di stregoni, fattucchieri o spiriti, le malattie, specialmente quelle, come il vaiolo o la peste, che colpiscono le persone in modo improvviso e con tragiche conseguenze, oppure le stesse malattie sono considerate manifestazioni di particolari spiriti identificati con esse.

Perché gli esseri umani dovrebbero ovunque popolare il loro mondo con tali folle di entità non naturali, spesso spaventose e terrificanti? La risposta sta forse in parte nella condizione umana, soprattutto quella di chi fa parte di comunità tecnologicamente meno sviluppate. Anche se la vita nelle condizioni di tali società può dare soddisfazioni irraggiungibili da parte degli uomini civili, l'esistenza quotidiana è intessuta di rischi imprevedibili e talora terrificanti; tra questi le malattie mortali non sono quelli minimi. E manca un complesso adeguato di conoscenze empiriche che potrebbero permettere agli uomini di fronteggiare tali rischi, o anche sperare di fronteggiarli, mediante tecniche pratiche, scientificamente sperimentate o sperimentabili. Quindi essi li devono fronteggiare in modo simbolico ed espressivo.

Una risposta è quella di spiritualizzare l'universo. I membri di una società tecnologicamente arretrata possono non conoscere rimedi pratici cui fare ricorso contro un'epidemia di vaiolo. Ma se conferiscono alla forza che li minaccia attributi quasi umani, essi posso almeno stabilire un qualche tipo di rapporto sociale con essa. In seguito, mediante invocazioni e sacrifici, possono tentare di allontanarla o di renderla meno pericolosa. Questo modo di considerare il mondo può sopravvivere a lungo dopo che le tecniche e le conoscenze occidentali sono state conosciute, anche se non sono sempre facilmente accessibili. Infatti soddisfa un bisogno universale, che anche nel mondo moderno non può essere del tutto soddisfatto in qualsiasi altro modo.

In alcune, anche se non in tutte, le società è sviluppata l'idea di un essere spirituale supremo, un dio sommo. Talora, come presso gli antichi Greci, è immaginato quale il più anziano e il più potente degli dèi, il primus inter pares; talora, come fra i Nuer (le cui idee religiose sono state esposte in modo brillante da Evans-Pritchard), Dio, o lo « spirito del cielo », è considerato una specie di essenza universale e presente ovunque, di cui gli spiriti minori sono soltanto aspetti locali o « rifrazioni ». Nei casi in cui il dio sommo esprime l'idea generalizzata di spirito o « potere », il concetto tende spesso a perdere il carattere personale. Quindi in molte culture si pensa che il dio sommo sia molto meno interessato alle vicende umane di quanto lo siano le divinità o spiriti minori cui possono essere attribuiti frequenti interventi nella vita quotidiana. Molti popoli africani fanno sacrifici e rivolgono invocazioni alle anime dei defunti e ad altri spiriti, ma non cercano di stabilire un rapporto così personale con il dio sommo. Spesso l'idea di un dio sommo ozioso è espressa in racconti mitici che riferiscono in che modo, dopo avere creato l'universo, se ne allontanò, scontento della sua opera. Oppure, talora, i miti riferiscono che gli esseri umani interruppero il loro rapporto originario con la divinità per superbia o disubbidienza. La dottrina cristiana del peccato originale esprime quest'idea.


John Beattie, Uomini diversi da noi, Laterza, 1996 (ed. or. ingl. 1972), pp. 312-316.

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