Scientology e le altre "nuove religioni": qualche considerazione in proposito

Se Scientology è basata su una menzogna, come suggeriscono le parole pronunciate da Tommy Davis nella riunione con il «New Yorker», cosa bisogna pensare delle tante persone che credono nella sua dottrina o che – come Davis e Feshbach – difendono e promuovono pubblicamente l’organizzazione e le sue pratiche?
Chiaramente, nessuna religione può dimostrare la propria «verità». Nel cuore di ogni grande sistema di fede ci sono miti e miracoli che, se sottoposti allo sguardo rigoroso dello studioso o del giornalista investigativo, potrebbero facilmente passare per menzogne. Davvero Maometto ascese in cielo in groppa al suo leggendario destriero Burāq? I discepoli di Gesù rividero veramente il loro maestro dopo la sua sepoltura? Si trattò di miracoli, visioni o menzogne? E le religioni sarebbero sopravvissute senza di essi?
Non c’è dubbio che un sistema di fede possa avere effetti positivi e rivoluzionari sulle vite delle persone. Molti attuali ed ex scientologi testimoniano il valore del loro addestramento e la comprensione acquisita grazie allo studio della religione. Hanno il diritto di credere in ciò che vogliono. Cosa ben diversa, però, è usare le tutele garantite a una religione dal Primo Emendamento per mistificare la storia, propagare dei falsi e coprire abusi dei diritti umani.
Una volta Hubbard scrisse che «la vecchia religione» –un’espressione con cui si riferiva al cristianesimo – era fondata su «una penosissima menzogna»: l’idea del Paradiso. «Sì, io sono stato in Paradiso. E anche voi» scrive. «Era completo di cancelli, angeli, santi di gesso... e attrezzature d’impianto elettroniche». Il Paradiso, dice, fu costruito quarantatré trilioni di anni fa come stazione di impianto. «Quindi dopotutto un Paradiso c’era; ecco perché vi trovate su questo pianeta ed eravate condannati a non essere mai più nuovamente liberi... fino all’avvento di Scientology». Poi continuava: «Che effetto ha tutto questo sulla natura religiosa di Scientology? La rafforza. Le nuove religioni abbattono sempre i falsi dèi di quelle antiche e fanno qualcosa per elevare l’uomo. Possiamo migliorare l’uomo. Possiamo dimostrare che le vecchie divinità sono false. E possiamo rendere l’universo un posto più felice, dove lo spirito possa dimorare».
Si potrebbe paragonare Scientology alla Chiesa dei santi degli ultimi giorni, una nuova religione nata nel secolo precedente. Il fondatore del movimento, Joseph Smith, sosteneva di aver ricevuto dall’angelo Moroni due tavole d’oro, consegnategli nel 1827 nel Nord dello Stato di New York assieme a un paio di magiche «pietre chiaroveggenti», che gli permisero di leggerne i contenuti. Tre anni dopo pubblicò Il libro di Mormon, dando origine a un movimento che avrebbe provocato la peggiore ondata di persecuzione religiosa nella storia dell’America. In tutto il paese la gente dava la caccia ai mormoni, a causa della loro poligamia e presunta eresia. Lo stesso Smith fu assassinato da una folla inferocita a Carthage, nell’Illinois. I suoi seguaci, assediati, riuscirono a lasciare gli Stati Uniti e a fondare una teocrazia religiosa nel territorio dello Utah, che loro chiamavano Sion. I mormoni erano talmente disprezzati che al Congresso fu presentato un disegno di legge per sterminarli. Nonostante ciò, il mormonismo si sarebbe in seguito sviluppato diventando una delle confessioni con il più rapido tasso di crescita del ventesimo e del ventunesimo secolo. Oggi i suoi membri corrono pubblicamente per la carica di presidente degli Stati Uniti e in gran parte del mondo questa fede, che in passato fu perseguitata a causa dei suoi valori, giudicati antiamericani, adesso è ritenuta la più americana delle religioni; anzi, è così che si percepiscono anche molti mormoni. Questo rappresenta una misura non solo del successo della religione, ma anche della capacità di una fede di adattarsi e cambiare.
Eppure Joseph Smith era palesemente un bugiardo. Nel rispondere all’accusa di poligamia, dichiarò di avere una sola moglie, mentre aveva già messo insieme un harem. Nel 1835 si verificò un episodio strano ma rivelatore: Smith acquistò diverse mummie egizie da un venditore ambulante che trattava quel genere di rarità. Dentro i sarcofagi c’erano dei rotoli di papiro, ridotti a brandelli; Smith dichiarò che erano gli scritti autentici dei patriarchi dell’Antico Testamento Abramo e Giuseppe. Fornì anche una presunta traduzione dei papiri, intitolata Il libro di Abramo, che ancora oggi fa parte della dottrina mormone. All’epoca, in America, si pensava ancora che la scrittura egizia fosse indecifrabile, ma la stele di Rosetta era già stata scoperta e Jean-François Champollion era riuscito a tradurre il linguaggio geroglifico in francese. Quando, nel 1966, i papiri di Joseph Smith vennero rinvenuti nella collezione del Metropolitan Museum of Art, si dimostrò che i passaggi «tradotti» da Smith erano comuni documenti funerari senza alcun rapporto con Abramo o Giuseppe. Questa frode, nota da decenni, ha inciso ben poco sulla crescita della religione o sulla devozione dei suoi seguaci. La credenza nell’irrazionale è una delle possibili definizioni di fede, ma è anche vero che aggrapparsi a dottrine assurde o contestate rinsalda una comunità religiosa e definisce una barriera contro il mondo esterno.
La trasformazione di Scientology in una religione assomiglia anche al cammino percorso dal cristianesimo scientista, la fede in cui è nato Tommy Davis. Come Hubbard, anche la fondatrice del cristianesimo scientista, Mary Baker Eddy, sperimentò metodi di cura alternativi. Come Hubbard, sosteneva di essere stata invalida ed essersi guarita da sola; e anche lei scrisse un libro basato sulla sua esperienza personale, Scienza e salute con chiave delle Scritture, che divenne la base per la fondazione, nel 1879, della Chiesa del Cristo, Scientista. Ancor più di Scientology, il cristianesimo scientista si oppone alle pratiche mediche dominanti, anche se entrambe si presentano come organizzazioni «scientifiche» più che religiose. Molte religioni, tra le quali il cristianesimo scientista, i Testimoni di Geova e persino il cristianesimo, hanno conosciuto il disprezzo e la persecuzione. Alcuni gruppi, come gli shakers e i milleriti, sono scomparsi; ma altri, come i mormoni e i pentecostali, si sono fatti strada a gomitate nell’affollato panorama religioso della società americana.
La pratica della disconnessione, o della ricusa, non è un’esclusiva di Scientology, come non lo è il desiderio di un rifugio religioso. La stessa America è stata fondata da veri credenti che si separarono dai loro parenti non puritani ponendo tra sé e loro un oceano. Nuovi leader religiosi appaiono di continuo, dando espressione a bisogni spirituali insoddisfatti. Nel mondo c’è un costante ribollire di movimenti spirituali e di confessioni, che cresce di pari passo con la libertà di espressione. La figura di L. Ron Hubbard e l’odissea del suo movimento vanno considerati all’interno di questo contesto storico e alla luce della naturale aspirazione umana alla trascendenza e alla sottomissione.
Verso la fine degli anni Settanta, ho trascorso svariati mesi in una comunità amish e mennonita nel centro della Pennsylvania, a documentarmi per il mio primo libro. In Europa il loro movimento era stato quasi annientato, ma negli anni Venti del Settecento essi trovarono rifugio nella colonia di William Penn, il «sacro esperimento» della Pennsylvania. Da allora le abitudini degli amish sono rimaste sostanzialmente immutate, una specie di museo della vita di campagna del diciottesimo secolo. I seguaci del movimento conducono un’esistenza appartata, estranei alla cultura popolare, su una sorta di atollo religioso. La bellezza e la semplicità della loro vita mi commossero. Gli amish considerano la Terra il giardino di Dio e il loro dovere è coltivarlo. L’ambiente in cui vivono è pervaso da un senso di pace e da un ordine pieno di significato. L’individualità è levigata al punto tale che le opinioni dei singoli si assomigliano come la foggia convenzionale di una cuffia o la barba che tutti gli uomini sono obbligati a portare. Poiché la moda e le novità sono bandite, ci si sente confortevolmente racchiusi in un vuoto immutabile e senza tempo. La conformità imposta smorza il rumore della diversità e l’ansia dell’incertezza; l’eternità sembra più vicina. Ma si è anche consapevoli del recinto elettrificato dell’ortodossia che circonda e protegge questo paradiso edenico, e dell’espulsione che attende chi dubita o si interroga. Eppure, c’è una specie di sobria maestà nella cultura amish, non tanto per il rifiuto della modernità, quanto per il principio di non violenza e l’adesione a uno stile di vita che tempera il fanatismo. Gli amish non risentono della feroce condanna sociale che devono sopportare gli scientologi; anzi, sono in genere trattati come animali a rischio, una specie amata e protetta: i vicini li coccolano e la società gli sorride. Eppure sono fortemente scismatici, pronti a troncare ogni rapporto con i loro cari per quello che a un esterno apparirebbe uno stupido punto dottrinario, se non addirittura per questioni quali il permesso di aggiungere una grondaia alla casa o appendere quadri alle pareti.
Per quanto da fuori gli amish possano apparire adorabili, simili comunità religiose isolate e intellettualmente deprivate possono diventare autodistruttive, specialmente quando ruotano attorno ai capricci di un unico leader tirannico. È il caso, per esempio, di David Koresh e della comunità dei davidiani, che egli fondò nei pressi di Waco e che battezzò appropriatamente «Ranch Apocalisse». Nel 1993 mi chiesero di scrivere un pezzo sull’assedio, che era allora in corso. Decisi di declinare la proposta, perché sul posto c’erano più inviati che davidiani; tuttavia la vista dei ventuno bambini che Koresh allontanò dal ranch poco prima del funesto incendio mi aveva scosso. Quei bambini si lasciarono alle spalle i genitori e l’unica vita che avessero mai conosciuto. Furono strappati alla comunità della fede, caricati su furgoni del governo e introdotti, oltre il sipario di agenti federali e giornalisti, sulla scena di un mondo alieno e di chissà quale futuro. Pensai che dovevano esserci altri bambini che avevano vissuto traumi simili: cosa ne era stato di loro?
In un cimitero di Oakland, in California, vicino all'ospedale della Marina dove Hubbard trascorse i suoi ultimi mesi in uniforme, c’è un tumulo stranamente deforme. Sotto una lapide uguale a tante altre riposano quattrocento corpi degli oltre novecento seguaci di Jim Jones periti a Jonestown nel 1978. Le bare erano state accatastate una sull’altra lungo il fianco di una collina scavata con un bulldozer e poi ricoperte di terra. Dopodiché era stata piantata dell’erba e la tragedia di Jonestown venne seppellita nella memoria nazionale come l’ennesima e inesplicabile calamità religiosa. I membri del Tempio del popolo, come Jones chiamava il suo movimento, erano stati attratti dai suoi riti di guarigione pentecostali, dal suo attivismo sociale e dal suo egualitarismo razziale. Il carisma e la follia erano inestricabilmente intrecciati al tessuto della sua personalità, insieme a un insaziabile appetito sessuale che si accompagnava, in Jones, a un vero e proprio terrore dell’abbandono. Alla ricerca di una comunità religiosa sicura, Jones aveva ripetutamente sradicato la sua congregazione. Alla fine, nel maggio del 1977, l’intero movimento sparì, praticamente dall’oggi al domani. Senza alcun preavviso, lasciando il lavoro, la casa e i familiari che non appartenevano al Tempio del popolo, i seguaci di Jim Jones si dileguarono misteriosamente per trasferirsi in un accampamento in mezzo alla giungla della Guyana, in Sudamerica, che Jones descriveva come un paradiso socialista. Lì il loro leader cominciò a prepararli al suicidio.
Scoprii che non tutti erano morti a Jonestown. Tra i sopravvissuti c’erano i tre figli di Jones, Stephan, Tim e Jim Junior, che quel giorno avevano lasciato il campo per disputare un incontro di basket contro la nazionale della Guyana nella capitale Georgetown. Da allora, quei giovani tormentati non avevano mai raccontato a nessuno la loro storia. Uno dei privilegi di fare il giornalista è quello di essere ritenuti capaci di ascoltare simili ricordi in tutta la loro complessità emotiva. Una sera andai a cena con Tim Jones e sua moglie Lorna. Tim aveva un fisico possente, era in grado di sollevare quarantacinque chili con un solo braccio, ma non riusciva a salire su un aereo perché soffriva di attacchi di panico. Volle che sua moglie lo accompagnasse perché non le aveva mai fatto un resoconto completo dell’accaduto, e chiese di trovarci in un luogo pubblico per evitare di mettersi a piangere. Fu Tim a dover fare ritorno a Jonestown per identificare i corpi di tutti quelli che conosceva, compresi i genitori, i fratelli e le sorelle, sua moglie e i suoi figli, tutto il suo mondo. Era convinto che, se fosse stato lì, avrebbe potuto impedire i suicidi. Raccontò questa storia gridando a squarciagola e dando pugni sul tavolo, mentre il cameriere girava alla larga e gli altri avventori tenevano lo sguardo fisso sul piatto. Non ho mai avvertito in maniera così acuta il pericolo dei nuovi movimenti religiosi e il danno arrecato alle persone che vengono attratte in simili gruppi non per debolezza di carattere, ma per il desiderio di fare del bene e vivere un’esistenza ricca di significato.


Lawrence Wright, La prigione della fede. Scientology a Hollywood, Adelphi, 2015, primi capoversi del capitolo intitolato Epilogo. Ho omesso una nota.

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