"Tutto è Spirito": principi cardine dell'idealismo tedesco

Come si è visto (cfr. vol. II, cap. 26), in Kant l'io era qualcosa di finito, in quanto non creava la realtà, ma si limitava ad ordinarla secondo proprie forme a priori. Per questo, sullo sfondo dell'attività dell'io si stagliava il concetto di cosa in sé, ossia di una X ignota, che il filosofo della Critica aveva ammesso per spiegare la recettività del conoscere e la presenza di un dato di fronte all'io. I seguaci immediati di Kant (v. par. 1-3 di questo capitolo), avevano messo in discussione la cosa in sé, ritenendola gnoseologicamente e criticamente inammissibile. L'idealismo sorge allorquando Fichte, spostando il discorso sul piano gnoseologico (o di dottrina del conoscere) al piano metafisico (o di dottrina dell'essere), abolisce lo «spettro» della cosa in sé, ovvero la nozione di qualsivoglia realtà estranea all'io, che in tal modo diviene un'entità creatrice (= fonte di tutto ciò che esiste) ed infinita (= priva di limiti esterni). Da ciò la tesi tipica dell'idealismo tedesco, secondo cui «tutto è Spirito».

Per comprendere adeguatamente tale affermazione, che rappresenta il cuore genetico e strutturale di tutto l'idealismo post-kantiano bisogna tener presente che con il termine «Spirito» (o con i sinonimi «Io», «Assoluto», «Infinito» ecc.) Fichte intende, in ultima istanza, la realtà umana, considerata come attività conoscitiva e pratica e come libertà creatrice (¹). Questa puntualizzazione preliminare lascia tuttavia irrisolti due quesiti di base, che tendono ad affacciarsi alla mente di chi affronta per la prima volta lo studio dell'idealismo: 1) in che senso lo Spirito, e quindi il soggetto conoscente ed agente, rappresenta la fonte creatrice di tutto ciò che esiste? 2) Che cos'è dunque, per gli idealisti, la Natura o la materia?

La risposta a questi due problemi interconnessi risiede innazitutto nel concetto di dialettica. Sviluppando le intuizioni del greco Eraclito, Fichte sostiene infatti che non essendoci mai, nella realtà, il positivo senza il negativo, lo Spirito, proprio per essere tale, ha «bisogno» della Natura, poiché un soggetto senza oggetto, un io senza non-io, un'attività senza ostacolo, sarebbero entità vuote ed astratte, e quindi impossibili. Di conseguenza, mentre le filosofie naturalistiche e materialistiche avevano sempre concepito la Natura come causa dello spirito, asserendo che l'uomo è un prodotto o un effetto di essa, Fichte, capovolgendo tale prospettiva, dichiara che è piuttosto lo Spirito ad essere causa della natura, poiché quest'ultima esiste solo per l'io ed in funzione dell'io, essendo semplicemente il materiale o la scena della sua attività, ossia il polo dialettico negativo del suo essere.

Di conseguenza, per Fichte 1) lo Spirito crea la realtà nel senso che l'uomo rappresenta la ragion d'essere dell'universo, che in esso trova appunto il suo scopo; 2) la Natura esiste non come realtà a sé stante, ma come momento dialettico necessario della vita dello Spirito. Queste due tesi di fondo dell'intuizione idealistica del mondo trovano una significativa esemplificazione artistica nel racconto di Novalis I discepoli di Sais, dove ad un certo punto, si dice che:

                   « Accadde ad uno
                   di alzare il velo della dea di Sais.
                   Ma cosa vide? Egli vide
                   - meraviglia delle meraviglie - se stesso ».

In altre parole, la dea velata di cui parla il romanzo è il simbolo del mistero dell'universo; quell'uno che giunge a scoprirla è il filosofo idealista, che dopo una lunga ricerca si rende conto che la chiave di spiegazione di ciò che esiste, vanamente cercata dai filosofi fuori dell'uomo, ad esempio in un Dio trascendente o nella natura, si trova invece nell'uomo stesso, ovvero nello Spirito. Ma se l'uomo è la ragion d'essere e lo scopo dell'universo, che sono gli attributi fondamentali che la filosofia occidentale ha riferito alla divinità, vuol dire che egli coincide con l'Assoluto e con l'Infinito, cioè con Dio stesso (e questo ci serve a capire, tra l'altro, perché gli idealisti scrivano le parole Io o spirito con le lettere maiuscole e perché l'idealismo romantico sia definito idealismo « assoluto »).

A questo punto risultano evidenti anche i rapporti che uniscono e dividono l'idealismo dalla tradizione ebraico-cristiana. Gli idealisti pensano anch'essi, da un lato, che l'uomo sia il « re del creato », ossia per usare ancora una volta un'espressione di Novalis, che la natura sia

                   « l'impietrita città magica, di cui l'uomo è il messia ».

Tuttavia l'idealismo tedesco, laicizzando il biblico « Dio creò i cieli e la terra per l'uomo », conclude che l'uomo stesso è Dio. Tant'è vero che l'idea classica di un Dio trascendente e staticamente perfetto, per il primo Fichte, è solo una « ciarla scolastica » o una « chimera », in quanto presupporrebbe l'esistenza di un positivo senza il negativo. Invece, per gli idealisti, l'unico Dio possibile è lo Spirito dialetticamente inteso, ovvero il soggetto che si costituisce tramite l'oggetto, la libertà che opera attraverso l'ostacolo, l'io che si sviluppa attraverso il non-io.

Per cui, con l'idealismo ci troviamo di fronte, per la prima volta nella storia del pensiero, ad una forma di pantesimo spiritualistico (= Dio è lo Spirito operante nel mondo, cioè l'uomo), che si distingue sia dal panteismo naturalistico (= Dio è la Natura), sia dal trascendentismo di tipo ebraico e cristiano (= Dio è una Persona esistente fuori dell'universo). Come tale, l'idealismo è anche una forma di monismo dialettico (= esiste un'unica sostanza: lo Spirito, inteso come realtà positiva realizzante se medesimo attraverso il negativo: la natura, il non-io ecc.). Monismo che si contrappone a tutti i dualismi metafisici e gnoseologici della storia del pensiero, dai greci a Kant (Spirito e Natura, Dio e Mondo, soggetto ed oggetto, libertà e necessità, fenomeno cosa in sé...).


(¹) Quando si afferma che per Fichte e gli idealisti lo Spirito coincide con l'Umanità, non si intende quest'ultima come razza biologica particolare, ma come un'entità autocosciente, razionale e libera, che potrebbe anche esistere in altre zone dell'universo. Infatti, per gli idealisti, vi è spirito là dove c'è intelligenza e libertà.



Nicola Abbagnano - Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella storia. Vol. 3. Ottocento e Novecento, Paravia, 1986, pp. 66-68.

Commenti