Il Dio diveniente di Schelling

Schelling ritiene di dover imboccare una sorta di terza via al di là del teismo e del panteismo, che, pur non dissolvendo Dio nel mondo (in base al principio che se il mondo è tutto in Dio, Dio non è tutto nel mondo), sia in grado di mostrare come Dio non sarebbe tale senza il mondo. Nelle Ricerche, in cui mette in atto la nuova prospettiva, egli afferma che se il concetto di Dio come identità statica e perfezione già tutta realizzata non riesce a dar ragione del finito e del male, non rimane altra soluzione che quella di cambiare radicalmente il concetto stesso dell'Assoluto, interpretando Dio come una realtà in divenire e come sede di una contrapposizione dialettica di contrari. Ciò porta il filosofo a ritenere che in Dio vi sia una serie di opposti - irrazionalità e razionalità, necessità e libertà, egoismo e amore ecc. - che danno luogo ad un processo, avente come teatro il mondo, in cui si ha un progressivo trionfo del positivo sul negativo.

In altri termini, come in noi esiste da un lato un volere inconscio e irrazionale, e dall'altro un volere permeato di ragione, così, in Dio, vi è un fondo abissale inconsapevole, un'oscura brama o desiderio d'essere (che Schelling, sulle orme di Böhme, denomina « substrato », « natura » o « abisso ») e dall'altro una ragione consapevole (che Schelling denomina « l'essere »). Ma come nell'uomo lo spirito affiora dalla vittoria sull'impulso, o come la luce si afferma in virtù del dissolvimento delle tenebre, o come, in generale il positivo si rivela solo in rapporto al negativo, così, in Dio, « l'essere » o la ragione consapevole emerge dalla « natura » irrazionale, che è appunto il fondamento a partire dal quale Dio si fa Dio. In tal modo l'Assoluto schellinghiano cessa di essere un Atto puro o un primo motore immobile per configurarsi come un Dio vivente, ossia come un Dio che non è, ma diviene, e nello stesso tempo si rivela a se stesso, facendosi persona, tramite una progressiva vittoria della razionalità sull'irrazionalità, della libertà sulla necessità, dell'amore sull'egoismo, ossia mediante un cosmico processo coincidente con la storia stessa del mondo, che è una vivente teofania (= manifestazione di Dio).

Secondo Schelling, solo questa concezione dinamica di Dio può spiegare l'origine e il destino del mondo e del finito. Infatti la creazione, che sgorga dal volere inconscio di Dio e dal suo oscuro « desiderio d'essere », e che trova la sua redenzione nella graduale realizzazione e rivelazione di Dio a se stesso, rappresenta un momento necessario della vita divina, che non può fare se stessa se non facendo, al tempo stesso, il mondo. Secondo Schelling questa concezione ha pure il vantaggio di spiegare l'origine e la possibilità del male e della libertà, senza, con ciò stesso, attribuirne la causa a Dio. Alla tesi polemico-ironica del medico e filosofo Adam K. A. Eschenmayer (1770-1852), secondo cui l'Assoluto schellinghiano sarebbe un misto di Dio e di Satana, il filosofo ribatte che fra l'aspetto inconscio e abissale di Dio ed il suo essere razionale (e quindi fra necessità e libertà, egoismo e amore, desiderio e intelletto) non vi è antitesi irrisolta, bensì armonica compenetrazione, in quanto il primo è semplicemente la condizione del trionfale esplicarsi del secondo: « Infatti ogni essere può rivelarsi solo per mezzo del suo contrario: l'amore solo nell'odio, l'unità solo nella lotta. Se non ci fosse separazione dei principi, l'unità non potrebbe mostrare la sua onnipotenza; se non ci fosse la discordia, l'amore non potrebbe diventare reale » (Ricerche, in Werke, IV, pp. 265-266).


Nicola Abbagnano - Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella storia. Vol. 3. Ottocento e Novecento, Paravia, 1986, p. 101.

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