La confessione dei peccati, ovvero la magia della parola come mezzo terapeutico

Nel '29 uscì il primo dei tre volumi nei quali l'A. [Raffaele Pettazzoni] raccolse una serie di studi monografici, apparsi in « SMSR » [Studi e materiali di storia delle religioni] e in relazioni congressuali, su La confessione dei peccati. Il I volume riguardava alcuni popoli primitivi dell'Africa, dell'Indonesia, della Melanesia, oltre le antiche civiltà americane, e quelle orientali; il secondo volume, che uscì nel '35, riguardava la confessione in Egitto, Babilonia, Israele, Arabia meridionale; il terzo volume uscito nel '36, riguardava la confessione presso gli antichi popoli mediorientali e greci.

Nella confessione dei peccati delle religioni primitive, come in quelle antiche, il Pettazzoni aveva messo in luce la potenza magica della parola che, evocando i peccati, li esprime: nel senso etimologico di spremere da.

La confessione, che è considerata atto religioso, espressione di un bisogno di pentimento, contiene anche motivi pratici e terapeutici, che consistono « nel levarsi di dosso o di dentro qualcosa che fa male o reca danno ». Infatti, dopo la evocazione del peccato, si procede (a seconda delle abitudini culturali) a specifiche pratiche eliminatorie: vomito simulato (Kikuyu del Kenia), abluzioni (Ewe, Togo meridionale e Costa di Guinea), estrazione di sangue (Semang, penisola di Malacca); spesso la confessione è praticata in occasione di feste di rinnovamento ed è da inserirsi nei riti di purificazione collettiva. I peccati confessati sono per la maggior parte di natura sessuale; presso i Dagari (alta Guinea) la donna che ha le doglie del parto deve confessare le sue relazioni illecite al marito se vuole sgravarsi. Gli Yurok (California settentrionale) confessano peccati sessuali (per esempio l'aver avvicinato la propria moglie in circostanze indebite) spiegando così a se stessi e alla comunità le ragioni di figli deformi. Spesso il male patito è interpretato come spia di un peccato commesso involontariamente: è il peccato che mette in circolo un fluido maligno, oppure disturba l'ordine divino i cui effetti coinvolgono l'intera comunità.

Riassumendo, il concetto di peccato è duplice: è magico quando è in funzione dell'idea di forza-sostanza maligna; è teistico quando è considerato offesa della divinità. In entrambi i casi siamo nell'ambito dei fatti religiosi, perché si presuppone la presenza di forze sacrali coagulantisi nelle sostanze maligne. Pettazzoni ha messo bene in evidenza ciò che poteva sfuggire nella confessione: la magia della parola come mezzo terapeutico. In realtà la confessione non è fatta per informare. Non si vede, scrive Pettazzoni, cosa possa guadagnarci una moglie che informa il marito delle proprie relazioni extraconiugali, né vogliono informare i presenti i peccatori della penisola di Malacca che gridano i propri peccati al temporale incombente, né infine debbono informare l'Essere celeste che, come onnisciente, non ha bisogno di essere informato. Il bisogno evidentemente è un altro: è quello di enunciare il peccato, pronunciare il nome del peccato commesso, perché il peccato possa essere tirato fuori, tramite la magia della parola, ma anche - oggi dopo Freud lo sappiamo - secondo un procedimento di autoanamnesi psicanalitica in funzione liberatrice. Certamente la confessione è « liberazione da quello smarrimento che prende l'uomo al manifestarsi dei primi sintomi del male. Liberazione da quel  cumulo di guai che a un certo momento - non di rado fissato periodicamente - la comunità sente pesare sul suo destino come eredità di un tempo più o meno lungo e remoto, onde anela a scuotersi di dosso il pernicioso fardello per rimettersi, più leggera, in cammino, per inaugurare, purificata, un nuovo ciclo »1.

La confessione è dunque soprattutto « liberazione da una intollerabile angoscia, sollievo infallibile di una pena che opprime » tanto per l'uomo primitivo che per l'uomo civilizzato, ma anche « paura di malanni imminenti » o già prodotti sia nella psiche che nel fisico, qualunque sia la cultura di appartenenza purché vi sia una qualche fede religiosa.

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Rispetto al saggio del '37, La confessione dei peccati: metodo e risultati, quello del '53 presenta delle novità; in La confession des péchés: essai d'interpretation général, infatti, l'autore insiste sulle motivazioni storico-sociali, rinunciando alla costruzione genetica della confessione. In questo saggio condivide la teoria magica di Boas della confessione dei peccati, presso gli Eschimesi, che sarebbero trasgressori di tabù o di altre norme della vita sociale e religiosa della tribù, e avverte l'errore metodologico di Frazer il quale attribuisce valore universale a un risultato che riguarda il complesso ideologico eschimese. Frazer, infatti si serve di notizie riguardanti altre popolazioni « primitive » per respingere la tesi boasiana nella quale l'accento era posto più sul gruppo che sull'individuo, per formulare una teoria generale sulla qualità magica piuttosto che religiosa della confessione dei peccati. Secondo la concezione evoluzionistica della civiltà che presuppone fasi di successione graduale, per Frazer, infatti vi sarebbe un'epoca magica dell'umanità che precede quella religiosa. Per Pettazzoni l'analisi morfologica della confessione dei popoli « non-civilizzati » conferma l'idea della confessione come operazione simbolica di purificazione e Pettazzoni mette in luce la forza magica della parola, il suo effetto magico sulle cose pronunciate consistente nel fatto che evocandole le oggettiva rendendole suscettibili di essere estirpate e distrutte. Sostanzialmente il peccato è di natura sessuale, e specialmente grave è l'adulterio, cioè la trasgressione delle norme sociali. Questa trasgressione si manifesta, nella donna, con la difficoltà del parto.

Dunque di Boas, Pettazzoni condivide l'idea che nel pensiero primitvo - a differenza del nostro pensiero - non è la volontà di peccare che conta, il momento soggettivo, ma gli effetti del peccato, il momento oggettivo, la convinzione che dal peccato verrà male, dolore, sofferenza, non solo a chi ha peccato ma la gruppo, nel senso che esso si rifletterà negativamente sulla vita della collettività; così, se l'economia, per esempio, è di caccia e pesca, gli uomini andranno incontro a continui insuccessi. Questo secondo ordine di considerazioni, porta a sottolineare, in contrasto con Frazer che, se il peccato viola l'ordine delle cose e delle regole, che è sacro, in quanto voluto da una divinità o da forze impersonali, esso rientra già nella sfera religiosa: la concezione magica del peccato è, quindi, anche una concezione religiosa. In conclusione la difficoltà del parto è il segno, la prova di un peccato commesso dalla donna la quale sembra caricata simbolicamente di una responsabilità che riguarda l'intera struttura sociale; essa assume, in questo ordine di idee il valore di ponte fra il sacro e il profano configurandosi pericolosamente come potenziale perturbatrice dell'ordine divino nelle cose umane.

Pettazzoni, come si faceva notare, rinuncia alla sua costruzione genetica della confessione dei peccati radicandola nella civiltà di tipo matriarcale e, in questa insistenza sulla ripercussione sociale dei peccati, quasi esclusivamente muliebri, intende avallare, con prove storiche, la teoria antropologica della interrelazione dei comportamenti pratici con i complessi sistemi cosmologici.

Se la confessione primitiva è essenzialmente liberatoria, lo è tanto a livello psicologico che sociale e, se Pettazzoni riconosce il grande valore liberatorio dell'angoscia, che prende l'uomo ai primi sintomi del male, insiste soprattutto sul valore intimo della confessione che è una esigenza di natura collettiva. Scrive Pettazzoni: « Délivrance de cette masse oscure de malheurs qu'à un moment donné la communauté sent peser sur son destin comme l'heritage d'un temps immemorial. Délivrance d'une intolérable anxieté, soulagement ineffable d'une peine accablante, besoin irrésistible de s'accuser soi-même pour détourner un mal qui menace de s'abattre sur tous »2.

Senza limitare al pensiero primitvo il valore profondo della confessione come mezzo « per far pace con Dio », al di là della evoluzione della vita religiosa, nel suo divenire più interiorizzata e soggettiva, e delle sue differenze formali. l'elemento fondamentale della confessione è sempre la sua funzione liberatoria.


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1. R. Pettazzoni, La confessione dei peccati, Bologna, Zanichelli, vol. I, pp. 47-61, cfr. in part. pp. 60-61.
2. R. Pettazzoni, La confession des péchés: essai d'interprétation générale, in « Journal de Psych. norm. et pathol. », 46 (1953), p. 268.


Sonia Giusti, Storia e mitologia. Con antologia di testi di Raffaele Pettazzoni, Bulzoni, 1988, pp. 104-108. [Ho omesso alcune note].

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