La verità del mito secondo Pettazzoni

Afferma Pettazzoni: « il mito è storia vera perché è storia sacra: non solo per il suo contenuto, ma anche per le concrete forze sacrali ch'esso mette in opera. La recitazione dei miti delle origini è incorporata nel culto perché è culto essa stessa e concorre agli scopi per cui il culto è celebrato, che sono quelli della conservazione e dell'incremento della vita »1. La verità del mito non è di tipo logico e nemmeno storico, ma di ordine religioso e soprattutto magico: « L'efficienza del mito ai fini del culto, per la conservazione del mondo e della vita, sta nella magia della parola, nel potere evocativo della parola, del mythos, della fa-bula... »2.

Nell'affrontare il rapporto tra Vico e Pettazzoni, S. Giusti ricorda che per Pettazzoni la religione non può essere ridotta a filosofia primitiva, ma

essa è ricca di sentimenti oltre che di pensiero logico e razionale; vichianamente, egli vede nel cielo e nei fenomeni celesti, il materiale rappresentato dalle sensazioni e utilizzato nel pensiero fantastico, basato sull'intuizione per costruire le figure mitiche3.

In Pettazzoni rivive il concetto vichiano della spontaneità del mito ma, spiega ancora S. Giusti, nel riconoscere la fonte spontanea del mito nel pensiero fantastico, « Vico intendeva che quel pensiero, nato individuale, diventasse delle tribù e poi delle nazioni...»4.

La dimensione uranica della divinità emerge in Vico nel racconto riguardante l'origine della religione, nel secondo libro della Scienza Nuova. Egli descrive i primi uomini come « insensati ed orribili bestioni »5 che utilizzavano il linguaggio della poesia, della fantasia. Duecento anni dopo il diluvio, continua Vico, « il cielo finalmente folgorò, tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi, come dovett'avvenire per introdursi nell'aria la prima volta un'impressione sì violenta »6. Per quell'avvenimento i giganti « alzarono gli occhi ed avvertirono il cielo »7 e attribuirono a esso le stesse loro caratteristiche. Poiché essi si esprimevano urlando e brontolando, immaginarono il cielo come un grande corpo animato, che chiamarono Giove, il quale comandava con dei cenni, cioè attraverso i fulmini. F. Amerio commenta:

Da quel momento lo temettero e lo riverirono e cercarono d'interpretarne la volontà nei segni del cielo: sorse la divinazione. Da quel momento sentirono il bisogno di adattare il loro comportamento alla sua volontà espressa nei segni divinali: sorse il conato, ossia il primo sforzo per sottomettere la sbrigliata passionalità; da questo sforzo, primo risultato, la convivenza monogamica e pudica, ossia la famiglia, e di qui a mano a mano tutte le altre istituzioni, attraverso le quali l'uomo lentamente si riumanizza e la società si organizza e la civiltà insomma si mette in marcia8.

Lanternari ricorda che Vico pone il problema dell'origine delle religioni, individuandone l'origine psicologica9. Per Lanternari, Vico scopre due principi fondamentali:

che la religione è un prodotto « umano » (non divino) risalente ai primordi dell'umana civiltà, e che essa stessa sta in rapporto con  alcune esperienze emozionali (« spavento », « timore », « disperazione ») come aveva già intuito, lontanamente, Lucrezio. Tali principi costituiscono il grande apporto del Vico alla scienza moderna delle religioni10.

Di Nola osserva che Pettazzoni non accetta l'idea vichiana che considera la religione ebraica e quella cristiana originata dalla diretta rivelazione divina, ma recepisce quella parte del pensiero del filosofo napoletano che « fatta salva la rivelazione ebraico-cristiana, [...] apertamente dichiara che le religioni sono creazioni dell'uomo, gli dèi sono proiezioni della "guisa" o del momento fantastico-poietico e che, nella genesi delle figurazioni del divino, posizione primaria ebbe l'appercezione mitica del cielo »11.

A questo proposito, Vico così si esprime:

Onde si raccoglie che dappertutto le prime leggi furono le divine di Giove. Dalla qual antichità dev'essere provenuto nelle lingue di molte nazioni cirstiane di prendere « il cielo » per « Dio »; come noi italiani diciamo « voglia il cielo », « spero al cielo », nelle quali espressioni intendiamo « Dio »...12.

A ragione il filosofo napoletano viene considerato come un precursore dello storicismo, anche se in lui era rimasta viva la presenza di Dio e dell'uomo come attori della storia, elemento poi negato dallo storicismo moderno13; Pettazzoni ribadirà più volte il valore e il positivo apporto culturale proveniente dalla ricerca storica. Egli spiega l'essenza del pensiero di Vico a cui alcuni studiosi pensavano di poter attribuire una interpretazione naturalistica dei fatti:

Ma il pensiero di Vico, anche con la teoria dei corsi e ricorsi, è quanto mai lontano da ogni interpretazione neturalistica dei fatti storici e del loro ripetersi. Proprio il Vico è, anzi, considerato come precursore dello storicismo moderno, cioè di quel pensiero che concepisce la storia come libertà, ed ogni fatto storico come un evento unico, originale ed irripetibile. Conseguentemente, anche il metodo comparativo d'ispirazione naturalistica è investito in pieno dalla critica storicistica14.

Come ricorda Lanternari: « Per Pettazzoni il mito è "verità", in quanto documento trasmesso oralmente da generazione a generazione, come prova e garanzia, atto di fondazione e autenticazione sacrale della propria cultura etnica, e dunque della propria identità... »15.

Il legame tra Vico e la riflessione di Pettazzoni costituisce una via italiana nella scuola delle religioni, una pista di riflessione in cui Vico ha considerato le religioni, ad eccezione dell'ebraismo e del cristianesimo, come prodotti dell'uomo e oggetto dell'indagine storica. Dalla mitizzazione del cielo, radicato nella naturale fantasia delle prime genti, trassero origine in luoghi diversi le diverse divinità. Afferma ancora Di Nola: « In Vico sono, quindi, contemporaneamente affermati il processo genetico umano e spirituale delle religioni e l'esigenza di individuare le forme in cui tale processo si esplicita storicamente, nei singoli ambienti o "nazioni" »16.

L'interesse di Pettazzoni per la mitologia religiosa si esprime nella vasta letteratura da lui composta con la raccolta di miti da varie parti del mondo, mentre l'origine uranica della religione emergerà in particolare nella polemica con Schmidt in merito alla teoria del monoteismo originario. Il nostro autore contesterà anche la scarsa stima verso i miti da parte di Schmidt e della sua scuola.
_____________________

1. R. Pettazzoni, Verità del mito, in Studi e materiali di storia delle religioni, 21 (1947-48), pp. 104-116, in M. Gandini (ed.), Raffaele Pettazzoni religione e società..., cit., pp. 5-18.
2. Ibid.
3. S. Giusti Storia e mitologia, Roma, Bulzoni, 1988.
4. Ibid., p. 65.
5. N. Abbagnano (ed.), La Scienza Nuova e altri scritti di Giambattista Vico, Torino, 1996, p. 381.
6. Ibid., p. 383.
7. Ibid., p. 383.
8. F. Amerio, Introduzione allo studio di G.B. Vico, Torino, 1947, p. 283.
9. Cf. V. Lanternari,  La religione e la sua essenza: un problema storico, in « Nuovi Argomenti », 1961/49-50, pp. 1-64.
10. Ibid.
11. A.M. Di Nola, Un'eredità pettazzoniana: pensiero laico e storicismo, in « Idoc internazionale », 1983/6-7, pp. 30-40.
12. N. Abbagnano (ed.), La Scienza Nuova e altri scritti..., cit., p. 438.
13 Cf. F. Tessitore, Introduzione allo storicismo, Bari, 1999, p. 5.
14. R. Pettazzoni, Il metodo comparativo, in « Numen », 6 (1959), pp. 1-14, in M. Gandini (ed), Raffaele Pettazzoni religione e società..., cit., pp. 99-113.
15. V. Lanternari, Antropologia religiosa. Etnologia, storia, folklore, Bari, 1997, p. 23.
16. A.M. Di Nola, Religioni, storia delle, in Enciclopedia delle relgioni, Firenze, 1972, vol. 5, pp. 260-309.


Giuseppe Mihelcic, Una religione di  libertà. Raffaele Pettazzoni e la scuola romana di storia delle religioni, Città Nuova, 2003, pp. 38-42.

Commenti