La necessità delle spese di prestigio

[Pierre Bourdieu ne La distinzione ha raccontato meglio e in modo assai più vivido questi meccanismi sociali. Ma il capostipite degli studiosi del consumo di prestigio fu ovviamente Veblen]

Come s’innalza il criterio di ricchezza riconosciuto dal consenso comune, il possesso e l’esibizione dei servi quale mezzo per mostrarsi dispendiosi vanno soggetti a un raffinamento. Il possesso e il mantenimento di schiavi impiegati nella produzione di beni stanno a dimostrare ricchezza e coraggio, ma il mantenimento di servi che non producono nulla dimostra una ricchezza e una posizione ancora più alta. Sotto questo principio ha origine una classe di servi, quanto più numerosa tanto meglio, il cui unico ufficio è badare fatuamente alla persona del loro proprietario e mettere così in evidenza la sua possibilità d’impiegare improduttivamente molta gente. Allora sopravviene una divisione del lavoro fra i servi o i dipendenti la cui vita trascorre nel mantenere l’onore del nobil uomo agiato. Cosicché, mentre una parte della servitù produce per lui dei beni, un’altra parte, generalmente capeggiata dalla moglie, o dalla favorita, vive per lui in vistosa agiatezza; facendo con ciò vedere che egli può sostenere grandi spese senza tuttavia intaccare le sue grandi ricchezze.

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È molto più difficile abbandonare una certa portata di spesa una volta adottatala, di quanto non sia estendere la portata solita in corrispondenza a un aumento di ricchezza. Molte voci della spesa abituale si dimostrano, se analizzate, quasi puramente dispendiose, e perciò soltanto sono onorifiche, ma dopo che esse siano state incorporate nella graduatoria del consumo onorevole, e siano così divenute parte integrante del proprio schema di vita, è tanto difficile rinunciarvi quanto è difficile rinunciare a molti generi, che servono direttamente al benessere fisico o che possono addirittura essere necessari alla vita e alla salute. Vale a dire, la spesa onorifica vistosamente prodiga, che conferisce benessere spirituale, può diventare più indispensabile che gran parte di quelle spese che servono unicamente alle esigenze « inferiori » del benessere fisico o del puro sostentamento. Tutti sanno che è altrettanto difficile retrocedere da un «alto» tenor di vita quanto abbassare dell’altro un tenor di vita già relativamente basso; benché nel primo caso la difficoltà sia morale, mentre nel secondo essa possa implicare una sottrazione materiale ai piaceri fisici della vita.
Mentre però la retrocessione è difficile, un nuovo aumento di spesa vistosa è relativamente facile; difatti esso ha luogo come cosa naturale. Nei pochi casi in cui si verifica, un mancato accrescimento del proprio consumo visibile, quando ci siano i mezzi per un accrescimento, richiede secondo la mentalità popolare una spiegazione, e indegni moventi di spilorceria vengono imputati a coloro che mancano sotto questo aspetto. Una pronta risposta allo stimolo è d’altronde considerata l’effetto normale. Ciò fa pensare che il criterio di spesa che comunemente guida i nostri sforzi non sia l'ordinaria spesa media, già raggiunta, ma un consumo ideale che si trova sempre un po’ oltre la nostra capacità - o che per arrivarci richiede qualche sforzo. Il motivo è l’emulazione: lo stimolo derivato da un confronto antagonistico che ci spinge a superare quelli coi quali usiamo classificarci. Sostanzialmente la stessa cosa si dice nella proverbiale sentenza che ogni classe invidia ed emula la classe immediatamente superiore nella scala sociale, mentre di rado si paragona con quelli che stanno al di sotto oppure con coloro che sono molto più avanti. Vale a dire, in altre parole: il nostro criterio di onorabilità in fatto di spese, come in altri scopi dell’emulazione, è stabilito in base alle consuetudini di coloro che ci sono immediatamente superiori in fatto di rispettabilità; finché in tal modo, specialmente in una comunità in cui le distinzioni di classe siano qualcosa di vago, tutte le regole di rispettabilità e di convenienza e tutti i criteri di consumo si fanno risalire attraverso insensibili gradazioni alle usanze e alle abitudini mentali della classe più alta socialmente e finanziariamente: la classe agiata ricca.


Thorstein Veblen, La teoria della classe agiata, Einaudi, s.d. (ed. or. 1899), ebook, p. 99 e 123.

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