Il mito della caduta e le origini del male sociale

Il sorgere del mondo agricolo viene [...] generalmente associato ad una forma di abbassamento del livello morale. Tra i vari miti che rappresentano questo punto di vista, riferiamo quello presente nel Calabar e secondo il quale l'Essere Supremo Abasi, creatore della prima coppia umana, pensava un tempo direttamente a fornire il cibo alle due sue creature, dopo aver loro vietato di dedicarsi al lavoro agricolo. Fu la donna che si lasciò tentare ad usare strumenti per lavorare il terreno, e in conseguenza di questa disobbedienza l'uomo fu condannato alla lavorazione del suolo, e si riprodusse per filiazione. L'influsso della donna ed il lavoro agricolo vengono quasi ovunque posti in relazione con la caduta ad un livello morale più basso. Non occorre qui se non accennare al mito biblico nel quale l'elemento femminile e quello arboreo si associano direttamente al fenomeno indicato, quali loro cause determinanti.

Noi sappiamo quale fu la funzione diretta della donna nello sviluppo della civiltà agraria, e una associazione del genere, tra la donna e l'agricoltura, lungi dallo stupirci, ci pare una seria conferma dell'attendibilità storica e documentaria dei miti in questione. Ma vi è un altro aspetto generalmente sottolineato in questo tema mitico e che ci interessa di rilevare: quello dell'associazione tra il male morale e la conoscenza intellettuale. L'albero dell'Eden è l'albero della conoscenza del bene e del male. E non è questo il solo caso. Nell'Odissea si parla delle sirene, entità acquatiche femminili, quindi legate direttamente ad un orizzonte agricolo matriarcale, come di «esseri che sanno ogni cosa», «tutto ciò che sarà poi sulla terra fruttifera»1, e che inducono l'uomo alla perdizione.

Di che genere di conoscenza si tratti in questo caso, appare chiaro da tutti i miti di genere prometeico, primo fra tutti quello classico greco. Prometeo fece dannare l'uomo ad una forma di vita degradata per il fatto di aver voluto oltrepassare i limiti fissati dagli dèi all'umana conoscenza, rubando loro il fuoco. Si tratta quindi di una forma di conoscenza di carattere tecnico, volta alla produzione della ricchezza. Notiamo qui di passata che, anche nel mito prometeico, non è assente l'elemento femminile che sovente vi appare sotto le vesti mitiche di Pandora. In definitiva è il progresso tecnico che viene associato colla presenza del male sulla terra. E se noi teniamo presente quello che si è osservato a proposito del fenomeno magico nell'orizzonte agricolo matriarcale, quando si produce una netta sfasatura tra struttura mitica (ancora imperniata sulle figure degli Esseri Supremi) e la nuova situazione problematica insorta in conseguenza della rivoluzione agraria, ci rendiamo conto che questa convinzione non è affatto destituita di fondamento.

Il fallimento dell'antica religione dell'Essere Supremo di fronte ai compiti nuovi che la civiltà agraria venne assegnando al mito protettivo, si rivela nell'episodio della dannazione dell'uomo da parte di Dio  e dell'assentarsi di quest'ultimo da questa terra, sulla quale iniziano a regnare invece figure demoniache. I demoni della magia apparvero infatti quali surrogati di una divinità fattasi inadatta ai tempi.

Il tema del parallelismo tra progresso e male è un tema ricorrente nella mitologia. Un mito boscimano parla degli uomini viventi all'origine in piena armonia con gli animali, ma dopo l'invenzione del fuoco questa vita quieta e felice ebbe termine, perché gli animali si spaventarono, si allontanarono dall'uomo e persero contatto con lui. Si pensi qui anche al mito di Enkidu, l'eroe babilonese amico di Gilgamesh, il quale viveva in pacifica armonia con le fiere, finché una donna, una prostituta, gli insegnò le arti umane. Un  mito cinese, nel libro Li-Ki, narra come l'uomo perse contatto con il dio del cielo per aver distolto gli occhi da lui e guardato alla terra ed alla sapienza terrena. In un altro mito, nel libro persiano Bundahis, del IX sec. ma che riporta materiale molto più antico, si descrive il progressivo processo di decadimento della prima coppia umana, Mashya e Mashyoi, in concomitanza con le successive conquiste della tecnica: dapprima i due bevevano acqua pura ed erano cari a dio, poi bevvero il latte di capra, successivamente divorarono l'animale cotto sul fuoco, si rivestirono di pelli prima, poi di tessuti di lana, scavarono il ferro e lo lavorarono mediante una pietra, costruirono una casa e cominciarono a litigare tra di loro.

È certo che la nuova economia agricola venne creando delle condizioni radicalmente diverse da quelle della società dei cacciatori e dei pastori. L'accumularsi di ricchezze offriva delle possibilità e delle tentazioni prima sconosciute, e stabiliva delle differenze di livello sociale che rendevano assai facile il sopruso degli uni sugli altri. Di fronte a questa situazione, la società più semplice e meno agitata del passato veniva a configurarsi come un'età felice, l'età dell'oro.

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I dati dell'etnografia concordano con quelli della mitologia nel darci la rappresentazione di un'età dell'oro, di un'epoca nella quale il costume degli uomini presentava i caratteri di una più elevata qualità etica. Questi miti non possono spiegarsi solamente con l'atteggiamento psicologico del laudator temporis actis, in quanto vi sono troppi elementi che ne suffragano il valore storico. Il mito della caduta si riferisce infatti chiaramente al fenomeno storico dell'avvento della civiltà agricola e descrive quella grande crisi spirituale che lo accompagnò e che fu la causa del fiorire del mondo della magia.

La crisi spirituale che segnò il sorgere della civiltà neolitica fu determinato dalla carenza della struttura mitica di difesa, fondata sulla figura dell'Essere Supremo, in rapporto alle nuove esigenze dell'uomo. La scoperta dell'agricoltura che condusse alla formazione di nuovi rapporti umani, il determinarsi di nuove situazioni emotive, lo scatenarsi delle passioni, quali l'avidità di possedere e l'invidia verso i più forti e fortunati, l'ingigantirsi del gruppo umano, che da poche decine di persone raggiunse le diverse migliaia, ponevano una serie di problemi gravissimi, cui la arcaica sapienza tradizionale non sapeva dar risposta. In queste condizioni i gruppi umani dovettero correre il rischio della disintegrazione ed autoannientamento.

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1. Odissea, XII, 191.


Carlo Tullio-Altan, Lo spirito religioso del mondo primitivo, Il Saggiatore, 1960, pp. 416-419, [ho omesso una nota; sottolineature mie]

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