Jahvè come figura ambivalente (coincidentia oppositorum)

La figura di Jahvè è fortemente ambivalente. Esso è un agente infinitamente potente, più potente degli dèi degli altri popoli, i cui atti, governati da una volontà misteriosa e non comprensibile all'uomo, sono la fonte sia del bene come del male. Non è un sistema evidente di giustizia morale, quello che determina il comportamento di Jahvè, il sistema che potrebbe servire all'uomo quale sicura indicazione di ciò che deve o non deve fare per non incorrere nella sua ira e nella sua vendetta (e che appare nella religione ebraica solo al ritorno dall'esilio babilonese), per cui l'uomo può provocare la sua ira agendo del tutto inconsapevolmente. La collera di Jahvè si confonde con la giustizia divina, e solo posteriormente questa è stata posta in relazione a colpe del popolo e degli individui. Egli nutre simpatie ed antipatie e fa peccare, per perdere chi vuol perdere. Nella sua figura si incontrano quindi quella del dio e quella del tentatore, quella del bene e quella del male, estremi dell'ambivalenza del sacro. [vengono in mente molte considerazioni di M. Eliade disseminate nelle sue opere a proposito del tema della coincidentia oppositorum, come pure le considerazioni dello Jung della Risposta a Giobbe]

Questa rappresentazione della divinità rivela chiaro il suo carattere politico: è la divinizzazione della figura del sovrano orientale, di qualità assai diversa dalla immagine dell'Essere Supremo. Renan vedeva nell'antica divinità pre-mosaica una più elevata concezione della divinità. Questa era forse più elevata, ma certo meno efficiente, perché gli Esseri Supremi sono dèi oziosi, mentre le condizioni del  mondo mediorientale intorno al 1.200, epoca nella quale si presume gli Ebrei entrassero in Palestina, provenendo dalla zona di Gochen (Ismailia) in Egitto, richiedevano nella divinità ispiratrice di un popolo ben altre qualità politiche e guerriere. La divinità si fa in questo modo un potente fattore di civiltà.


Carlo Tullio-Altan, Lo spirito religioso del mondo primitivo, Il Saggiatore, 1960, pp. 313-14; le chiose tra parentesi quadre sono mie; ho omesso una nota.

Commenti