Le funzioni del mito
[...] credere in esseri sovrumani ora inattivi o inesistenti e che hanno agito soltanto nell'epoca del mito, significa semplicemente credere nei miti, i quali non possono essere privi di personaggi. Del resto, le credenze religiose non si limitano alle credenze in esseri sovrumani; nella maggior parte delle religioni, un'importanza considerevole riveste la credenza in «storie sacre». Si tratta di narrazioni che, originariamente, sono state trasmesse per via orale e, in talune civiltà superiori, sono state registrate in libri sacri, oppure inserite anche in contesti «profani»; esse vengono considerate come vere, non, certo perché siano state verificate o siano almeno probabili, ma per motivi religiosi. Questo è quanto possiamo dire per il momento. Chiamiamo per convenzione questi racconti «mitici», servendoci di un termine derivato dal greco antico, dove mythos, in origine, non stava a significare altro che racconto, mentre in seguito, nel linguaggio dei filosofi, esso ha assunto il significato più riduttivo di «racconto fantastico, inventato, non vero» (in contrapposizione al logos, il discorso ragionato), arrivando così ad indicare appunto i racconti d'origine religiosa cui i pensatori avevano cessato di prestar fede.
Perché, nelle civiltà dove esistono, si crede nei miti? Già i pensatori greci si ponevano questo interrogativo e, per trovare una spiegazione a queste credenze così diffuse nel loro mondo culturale, sostenevano o che i miti, assurdi dal punto di vista razionale, nascondessero, sotto il velo di racconti fantastici, delle verità profonde (allegorismo), o che contenessero un nucleo storico reale deformato dall'immaginazione popolare (evemerismo). Gli studiosi moderni, a partire dal secolo scorso, si sono posti lo stesso problema; e se, per alcuni, il mito rappresentava una trasposizione libera e fantasiosa delle esperienze umane, per altri - Tylor, ad esempio -, esso esprimeva un tentativo rudimentale di spiegazione dei fenomeni naturali: due interpretazioni, nessuna delle quali tiene conto del carattere specificamente religioso del mito. Eppure, questo carattere emerge dagli stessi fatti esteriori osservati da chi, come B. Malinowski, ha studiato o studia da vicino le società «primitive», presso le quali i miti continuano a «vivere». In realtà, i miti non si raccontano in un qualsiasi momento, ma in occasioni ben determinate (fra cui certe festività religiose), né a chiunque né da parte di chiunque (ma, ad esempio, in certe società, da parte di myth-tellers che assolvono a volte a talune funzioni religiose); tutto ciò non avrebbe ragion d'essere se questi racconti fossero semplici espressioni dell'immaginazione o tentativi di spiegazione prescientifica.
Si parla spesso, negli studi moderni sui miti, di «miti delle origini» come se si trattasse di una categoria di miti a sé. È vero che non tutti i miti raccontano direttamente le origini di una cosa - il mondo, l'umanità, la morte, alcuni fenomeni particolari o certe istituzioni tradizionali -; tutti però descrivono comunque, attraverso gli eventi che narrano, le caratteristiche di esseri mitici ai quali altri racconti attribuiscono un ruolo creatore (ogni singolo mito va visto nel contesto complessivo della «mitologia» di cui fa parte), cosicché, indirettamente, essi finiscono ugualmente col riferirsi alle «origini». Per esigenze di brevità, ci limiteremo in questa sede a prendere in esame i «miti delle origini» considerati nel senso stretto della parola. Per quanto vari siano a seconda delle diverse religioni, per caratteristiche, contenuti, ampiezza, ecc., questi miti rispettano tutti uno schema fondamentale comune. Infatti:
a) illustrano o presuppongono una situazione primordiale - quella dell'epoca del mito, diversa, come abbiamo visto, dal presente o dai tempi di cui si è conservata la memoria -, una situazione nella quale il fatto di cui si intende raccontare le origini non esisteva o era diverso da quello che è attualmente;
b) riportano un evento che si è svolto in condizioni differenti da quelle attuali, e i cui eroi sono gli esseri mitici, vale a dire esseri differenti da quelli che vivono al presente;
c) e l'evento conduce alla formazione (o alla trasformazione) di ciò di cui si racconta l'origine, dopodiché si instaurano le nuove condizioni, quelle reali, in cui vive la società che narra il mito
Anche diverse discipline scientifiche ricercano l'origine di determinati fenomeni, sforzandosi di spiegarli; il mito, invece, non spiega nulla, si limita a raccontare. La scienza cerca di mettere in luce, dietro un fenomeno che potrebbe sembrare strano e prodigioso, una concatenazione ragionevole di fattori che hanno condotto a determinarne l'esistenza. Il mito, invece, racconta le origini prodigiose delle cose che potrebbero sembrare comuni e normali. Il cielo e la terra si trovano separati l'uno dall'altra? Ebbene, il mito racconterà che in origine essi erano uniti, ma «un tempo» si è prodotto un evento (di quelli che non si verificano mai nel campo della comune esperienza) che ha portato alla loro separazione netta e definitiva. Ciascuno, sulla terra, constata l'esistenza di montagne: ma il mito evoca un tempo in cui la superficie terrestre era liscia e racconta un evento singolare che ha dato origine alle montagne. Fin dai tempi di cui si ha memoria, gli uomini hanno impiegato il fuoco; ma il mito racconta che «molto tempo fa» essi non lo conoscevano e non lo possedevano, e che il fuoco apparteneva invece ad altre specie (animali, ad esempio): solo a seguito di un avvenimento singolare gli uomini se ne sono impossessati. Certi riti sono riservati agli uomini e rigorosamente vietati alle donne? Ebbene, in altri tempi lo celebravano solamente le donne, ma si è prodotto un evento che ha rovesciato la situazione. Racconti del genere non tentano minimamente di spiegare il fenomeno che ne costituisce l'oggetto.
Qual è dunque la ragione d'essere del mito? Il tempo del mito è definitivamente passato (solo alcune religioni ne prevedono il ritorno, ma a prezzo della scomparsa completa del mondo attuale: donde l'analogia che esiste tra questi miti e quelli che vengono definiti «miti escatologici»); proprio perché questo tempo è ormai definitivamente trascorso, quel che si è prodotto allora - per intervento di esseri eccezionali che oggi non esistono più - non potrà più assolutamente cambiare. Questo riguarda tutte le cose, ogni cosa importante, giacché tutto quello che vale la pena di ricordare ritrova la propria origine nel mito. In primo luogo, dunque, il mito garantisce la stabilità della realtà esistente: il cielo non precipiterà più, gli uomini non saranno più privati del fuoco, ecc. Sarebbe tuttavia sbagliato ritenere che il mito abbia una semplice funzione rassicurante, dal momento che evoca anche l'origine di cose angosciose, tristi, ripugnanti. L'origine della morte, che «prima» non esisteva e in seguito a un qualche evento si è introdotta nel mondo; l'origine della vecchiaia, delle malattie, della guerra, del lavoro, ecc. In effetti, i miti non rappresentano soltanto il «fondamento» degli aspetti rassicuranti della realtà (che riconducono ad eventi irreversibili), ma lo sono della realtà tutta intera, buona e cattiva, così come essa si presenta agli occhi di un determinato gruppo umano. La realtà è quella che è, e l'uomo si trova disarmato di fronte ad essa, almeno finché non arriva a trovarle - o ad attribuirle - un senso, una giustificazione. Gli eventi reali, buoni o cattivi che siano, si svolgono sul piano della contingenza (almeno finché l'uomo non solo non conosce le leggi naturali - che anche noi non conosciamo ancora - ma ne ignora persino l'esistenza): al regno della pura casualità naturale - incommensurabile e inaccettabile per il pensiero umano - il mito sottrae ciò che è essenziale per l'uomo. Tutto acquista un senso che si fonda sui tempi delle origini. Tutto diventa necessario, e, una volta sottratta al caso la realtà, la società umana arriva ad adattarvisi e a fondare a questo punto su di essa il proprio ordinamento umano. In questo sta la funzione dei miti - storie «sacre» - che si distinguono per ciò da ogni racconto «profano».
[...] Il ruolo fondamentale delle credenze religiose, a differenza delle altre profane, consiste dunque nel garantire al gruppo umano il controllo su ciò che altrimenti apparirebbe incontrollabile, sottraendo la realtà alla sfera disumana della casualità e conferendole un significato umano.
Angelo Brelich, Storia delle religioni: perché?, Liguori, 1979, pp. 153-156. [Sottolineature mie].
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