Il diverso modo di concepire la destorificazione operata dal sacro in De Martino e in Eliade

[...] l'opera postuma demartiniana, La fine del mondo reca una testimonianza palpabile della fertilità del dialogo intellettuale a distanza intessuto con Eliade. De Martino ridiscute le tesi centrali avanzate dallo studioso di origine rumena per arrivare a chiarire con maggiore rigore i contenuti della propria proposta teorica, che è perennemente messa in questione per poter essere meglio articolata. De Martino ribadisce la sua presa di distanza dalla religione vista esclusivamente come regressio ad originem, come puro salto all'indietro e ritorno alla fase aurorale del mondo, anteriore alla nascita del tempo; la religione valorizzata in questo modo rappresenta la via di salvezza dalla storia, dall'angoscia della storia che attanaglia gli uomini, offrendo loro la possibilità di placare, nella brevità della parentesi festiva, la nostalgia delle origini. Il momento retrospettivo, il tornare all'indietro che disfa la storia, che per Eliade occupa tutto il piano del sacro, per de Martino ne è solo un aspetto che va inserito in una dinamica complessa. La riattualizzazione della dimensione mitica e l'adozione della prassi mitico-rituale non si risolvono nel mero ritorno al passato: l'una e l'altra pongono un argine al pericolo incombente del crollo della presenza umana e mediano, in prospettiva, la riappropriazione umana del divenire, riappropriazione che costituisce il vero telos del ricorso al sacro. In definitiva, da cosa salva il sacro? Dall'angoscia della storia, secondo Eliade; dall'angoscia di fronte al rischio di non poter essere presente in nessuna storia, secondo de Martino.


Marcello Massenzio - Carlo Tullio-Altan, Religioni Simboli Società. Sul fondamento umano dell'esperienza religiosa, Feltrinelli, 1998, pp. 62-63. [sottolineature mie].

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