I concetti di "sacer" e di "religiosus" in epoca romana

Gaio, un giurista della metà del II secolo d.C. (Instit. II 2-6), distinto il diritto (ius) in divinum e humanum e stabilito che appartengono allo ius divinum le res sacrae et religiosae – evidente pertanto una differenza tra sacro e religioso – procedeva a distinguere le res sacrae destinate agli dèi celesti (sacrae sunt quae diis superis consecratae sunt), da quelle religiosae destinate agli dèi inferi (religiosae quae diis manibus relictae sunt). Egli precisa anche che si deve ritenere sacro «soltanto ciò che sia stato consacrato in base all’autorità del popolo romano, vuoi per una legge varata a tale proposito, vuoi per un senatoconsulto» (sacrum [...] hoc solum existimatur quod ex auctoritate populi romani consecratum est, veluti lege de ea re lata aut senatoconsulto facto). In termini generali, dunque, il sacro (sacer, sacrum, sacra) appare come lo strumento che unisce la città (civitas) all’universo divino, ma anche marca i rispettivi confini. Il suo ruolo è pertanto pubblico e designa propriamente qualcosa che è stato donato ovvero «offerto a una divinità». Esso esprime «un concetto di sacralità che semplicemente sottrae o attribuisce all’“alterità” una parte della realtà» e si definisce per opposizione a ciò che è profano, che è semplicemente «ciò che non è sacro» (Profanum quod non est sacrum: Fest. 229 L.). All’epoca di Augusto, Orazio (Ars, 396-97) aveva d’altronde affermato che «una volta la sapienza consisteva in questo: / tenere separate le cose pubbliche dalle private e quelle sacre dalle profane» (fuit haec sapientia quondam, / publica privatis secernere, sacra profanis).

 

Paolo Scarpi, Delimitazioni del sacro, in "Civiltà e Religioni", II, 2015-16, Libreriauniversitaria.it Edizioni, p. 37 [Ho omesso le note del passo riportato. L'articolo si può scaricare su Academia.edu in versione pdf]

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