Apoteosi e culto del sovrano nella Grecia ellenistica

L'apoteosi del sovrano vivente aveva le sue radici nella mentalità greca, non nella tradizione dell'Antico Oriente. A prescindere dal breve intermezzo della divinizzazione di un Naramsin e di un Sargon di Akkad nel III millennio a. C. - dai quali tuttavia nessun legame porta ad Alessandro - l'Antico Oriente, anche l'impero achemenide, non conobbe mai la figura del sovrano divinizzato. L'apoteosi dei viventi si sviluppò piuttosto in terra greca: essa si basa sulla credenza tipicamente ellenica che un mortale il quale abbia compiuto imprese sovrumane, vada collocato accanto ai Celesti; ed è molto significativo che proprio le ultime generazioni prima di Alessandro abbiano tentato in vario modo di diffondere su suolo greco il concetto dell'uomo-dio: si pensi, in particolare, a Lisandro, a Clearco di Eraclea, al padre di Alessandro, Filippo II. L'apoteosi del sovrano era ben più che una «questione di etichetta» (K.J. Beloch); se Alessandro era per i Greci un dio, la cosa doveva necessariamente riflettersi nella posizione degli uomini di fronte al sovrano divinizzato: religione e politica giungevano a fondersi l'una con l'altra. Alessandro sta all'inizio di un lunga evoluzione che, attraverso i monarchi ellenistici, giunge fino a Giulio Cesare, al culto imperiale romano e alla regalità medievale «per grazia di Dio».

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Comune a tutti i regni ellenistici, con la sola eccezione della Macedonia, è anche il culto del sovrano. Questo è l'espressione più ostentatamente visibile della forma assoluta di governo, il fondamento stesso della regalità: ad esso partecipano tutti i sudditi, senza distinzione di condizione, di religione o di origine. Le sue radici rimontano all'età preellenistica [...]; fu soprattutto la richiesta di onori divini da parte dei Greci, avanzata da Alessandro nel 324 a. C., a gettare le basi del culto del sovrano all'interno del mondo ellenistico.

Nel caso dell'Egitto, però, va fatta una netta distinzione tra il culto egiziano del sovrano e quello ellenistico. Nel culto egiziano del re - obbligatorio solo per gli autoctoni - vennero assunti naturalmente anche i Tolomei (come prima di loro Alessandro Magno, Filippo Arrideo e Alessandro IV), quali successori dei Faraoni. In quanto tali, essi ebbero - come un tempo i re persiani - le antiche titolature egizie, in particolare l'appellativo di «figlio di Rah». Dopo di loro, vennero inclusi in questo culto gli imperatori romani da Augusto a Diocleziano, a riprova della solidità delle radici di una tradizione consacrata dall'uso millenario di quel paese tanto conservatore.

Il vero e proprio culto ellenistico del sovrano è nel regno dei Tolomei - come anche in quello dei Seleucidi - una creazione della seconda generazione, e precisamente di Tolomeo II, che solo dal II secolo a. C. viene chiamato Filadelfo. Questo statista nato fece consacrare il padre Tolomeo I, dopo la sua morte avvenuta nel 283, come δεὸς Σωτήρ (dio salvatore) e al culto associò poi anche la moglie di lui Berenice dopo la scomparsa della stessa. Più tardi, dopo la morte avvenuta il 9 luglio 270, anche Arsinoe II, sorella e moglie di Tolomeo II, fu divinizzata col nome di δεά Φιλάδελφος  (dea amante del fratello). L'idea di innalzare i morti a dignità divina era originaria del mondo concettuale greco e riprendeva, esaltandola, l'antica usanza di eroizzare le grandi individualità, quali ad esempio i fondatori di città e i legislatori. Il culto ellenistico del sovrano era obbligatorio per tutti i sudditi dei Tolomei, fossero essi Macedoni, Greci, Egiziani o di altra nazionalità.

Ma Tolomeo II compì anche un passo ulteriore, istituendo il culto di sé e della sorella-moglie Arsinoe II, con il nome di θεοί αδελφοί (dèi fratelli). Introdusse in tal modo la divinizzazione dei sovrani viventi, con un gesto che avrebbe avuto ripercussioni enormi. Il re, infatti, attraverso l'apoteosi da lui stesso decretata, veniva innalzato ancora da vivo al di sopra di tutti i sudditi. La monarchia finiva per collocarsi in una sfera superiore: si ponevano così le basi della sovranità assoluta «per grazia divina». I successori di Tolomeo II mantennero il costume della deificazione dei viventi e, una volta saliti al trono, assunsero un nome cultuale con cui furono venerati, insieme alle loro mogli, come δεοι Ενεργέται (dèi benefattori), θεοί Φιλοπάτορες (dèi amanti dei padri), θεοί Επιφάνείς (dèi manifesti).

Prettamente tolemaico fu infine il culto di Alessandro Magno, istituito già da Tolomeo I sicuramente dopo il 311 a. C. Si trattava, in questo caso, di un culto di stato che aveva per sacerdoti i membri delle principali famiglie macedoni e persino gli stessi sovrani tolomei. Alessandro divenne così il dio di stato dell'impero tolemaico e il patrono di quella dinastia che, anche sul piano genealogico, cercò sempre di collegarsi a lui. A quanto pare, col nome di «Alexandros» (mai però con quello di θεός Αλέξάνδρος!), egli fu addirittura assimilato agli dei olimpici. Distinto dal culto di stato è invece il culto civico di Alessandro quale fondatore di città, che gli veniva tributato ad Alessandria e che, probabilmente, era già stato istituito quando il macedone era ancora vivo.

Sul culto ufficiale del sovrano presso i Seleucidi non si posseggono molte informazioni. Con ogni probabilità, ad introdurlo fu Antioco I che, dopo la morte del padre Seleuco I, lo divinizzò come Zeus Nikator e gli dedicò un tempio. Forse Antioco I istituì anche il culto di stato, articolato per satrapie, per il sovrano vivente: lo stesso che, più tardi, all'inizio del II secolo, avrebbe avuto nuova forma da parte di Antioco III, il grande riformatore del regno. Accanto a questo culto voluto dal re stava il culto dei Seleucidi praticato dalle comunità greche del regno. Questo aveva carattere volontario ed era organizzato in forme molto diverse dalle singole poleis.

Il culto ellenistico del sovrano, in regni così poco omogenei come quello dei Seleucidi e quello dei Tolomei, si rivelò un efficace mezzo di unione tra le varie popolazioni. Esso fu adottato in vari modi negli stati minori. Ancor oggi l'iscrizione del Namrud Dagh ne testimonia la presenza all'interno del piccolo stato di Antioco I principe di Commagene (I secolo a. C.), in cui gli elementi iranici sono associati a quelli greci. Raramente un fenomeno fu di pari importanza per l'evoluzione culturale del mondo antico. Nel conflitto tra la Romanità e il Cristianesimo il culto imperiale rappresenterà il punto cruciale, come testimoniano ad esempio il carteggio di Plinio il Giovane con l'optimus princeps Traiano (Plinio, Lettere, X, 96) o i Libelli della persecuzione di Decio, della metà del III secolo d. C.

 

Hermann Bengtson, Storia greca. Vol. II La Grecia ellenistica e romana, Il Mulino, 1989 (ed. or. ted. 1965), pp. 123-124 e 222-225. Ho omesso tutte le note; le parole in greco antico non ricalcano esattamente la grafia del testo originale, non essendo stato possibile riprodurla tale e quale con i caratteri a disposizione su questo blog.

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