Dioniso e Orfeo, mito della caduta originaria e immaginario infernale


Il mito di Dioniso era forse interpretato come simbolizzante l'individuazione, che proviene da un delitto, e il ritorno all'unità, che realizza il bene? Offriva al Bacchos il modello di un destino umano di sofferenze terminate con una liberazione e seguite dalla beatitudine? Era forse, più specificamente, la promessa di una salvezza di cui il dio sarebbe stato il mediatore? - Il senso rimane incerto. Non è nemmeno sicuro che vi sia stata inizialmente un'interpretazione sistematica del mito. Ma, in un simile ambiente, le innovazioni individuali hanno potuto essere di una particolare importanza. Secondo Pausania, Onomacrito, rappezzatore di testi sacri, sarebbe stato il primo a fare dei Titani i responsabili della passione di Dioniso. È difficile valutare la portata di una simile iniziativa; questa non dev'essersi limitata a una semplice identificazione letteraria; non deve nemmeno essere giunta ad una totale invenzione dogmatica. Ad ogni modo, in quel momento, senz'altro con degli elementi preesistenti, si è costituita la dottrina di coerente antropogonia che certi testi suppongono [...] Gli uomini discendono dai Titani; sono nati dalle ceneri di quei nemici di Dio, fulminati da Zeus in punizione del loro delitto; di conseguenza, la loro natura implica un elemento cattivo, che è talvolta indicato come terrestre. Ma essa implica pure un elemento divino o celeste, poiché i Titani avevano divorato il figlio di Zeus. Senza ammettere in via formale la nozione di caduta o di peccato originale, questo dualismo attesta l'idea di una macchia impressa alla specie umana, e con ciò pone i termini di un problema di salvezza.


Il bisogno di salvezza è in effetti il principio della speculazione orfica. Questa converge verso il pensiero dei destini individuali. La logica del misticismo poteva adattarsi alla nozione di palingenesi che le imponeva la tradizione dei misteri dionisiaci. Nozione particolarmente marchiata di pessimismo: il ciclo senza fine delle rinascite è l'eternità del dolore; si tratta di liberarsene, e questa liberazione è il fine della «vita orfica». Nulla testimonia, per giunta, che una simile nozione sia stata molto sicura: la beatitudine degli eletti non sembra essere sempre definitiva, ed essi possono essere chiamati a nuove reincarnazioni. Ciò che permane è l'idea di un destino di beatitudine che occorre conquistare con una disciplina speciale, disciplina di purificazione che è originata dal dogma definito di un dualismo del corpo e dell'anima. L'ascetismo è imposto dall'orfismo in una forma che non ha oltrepassato se non in modo leggero lo stadio dei tabù popolari; esso comporta un divieto generale, quello di ogni alimento di carne.

Una rappresentazione dell'aldilà doveva naturalmente avere un posto centrale nella speculazione degli orfici e delle sette apparentate. Essa è in relazione con tutti questi dati. Troviamo le formule di un'escatologia assai precisa sulle foglie d'oro, sepolte con il morto e destinate al suo uso, che si sono scoperte specialmente a Thurii, a Petelia e a Eleutherna di Creta: se le più antiche appartengono a stento ancora all'epoca classica, esse rappresentano una tradizione che si può legittimamente riferire a quell'epoca. Il morto in persona, o la sua anima, si rivolge alle divinità infernali, specialmente alla Signora del luogo: «Vengo pura, generata da Puri (intendiamo senza alcun dubbio: da un tiaso*), o Regina degli inferi». Ma l'iniziato si definisce ugualmente «figlio della Terra e del Cielo». Egli si vanta di una discendenza divina e ricorda anche «il fulmine» che lo ha colpito. Seguendo le raccomandazioni scritte di cui è provvisto, deve «prendere a destra», «verso le praterie sacre e i boschi di Persefone», deve chiedere «dell'acqua che proviene dal lago di Memoria». Egli afferma che « capretto, è caduto nel latte». E, «avendo subito l'espiazione delle sue azioni ingiuste», supplica Persefone di inviarlo alla «dimora dei santi». Un altro dichiara con maggiore sicurezza che si è sottratto al «ciclo» e che è giunto nel seno della dea; e la dea gli risponde: «Felice e beato, da uomo tu sei diventato dio.» - È possibile che vi sia qui un'allusione a dei diversi gradi di salvezza, corrispondenti ad una gerarchia delle iniziazioni.

Si scorgono i temi. Questi si raccordano a uno schema di misteri. L'iniziato ha conseguito una specie di consacrazione attraverso la sua stessa partecipazione ad una setta, per mezzo delle sue pratiche e, specialmente, attraverso un battesimo che, in qualunque forma gli sia stato amministrato, utilizza le virtù del latte, simbolo preistorico di rinascita. In questo modo egli ha espiato le sue colpe: poiché discende dagli assassini di un dio, fulminati da Zeus, e partecipa della loro natura; ma egli è al tempo stesso di stirpe divina, e a questo punto può ottenere il perdono di Persefone, madre del Dio. In virtù delle parole d'ordine che ha appreso nei «misteri», accede al suo cospetto: egli conosce il sentiero che occorre prendere negli Inferi per raggiungere la Signora che ha conosciuto tramite la sua iniziazione e «nel seno della quale è giunto» - Del resto, questa salvezza individuale, solo l'individuo è in grado di realizzarla: a torto si è creduto di veder indicata in un testo di Platone una dottrina orfica dell'intercessione, secondo la quale le opere dei vivi avrebbero il potere di migliorare la sorte dei trapassati. [...]

Vi è soprattutto un'influenza diffusa del misticismo: non bisogna esagerarla per quell'epoca, ma nemmeno disconoscerla. Ne troveremo la testimonianza presso certi poeti o filosofi, che d'altronde si permettono delle licenze con la tradizione delle sette, e presso i quali un certo pragmatismo modera singolarmente il rigore degli insegnamenti mistici. - Del resto è accertato che l'orfismo ha sviluppato molto l'immaginario infernale: le rappresentazioni del Luogo del castigo e dei supplizi dei dannati hanno avuto successo; l'arte di Polignoto non ha disdegnato di dargli una consacrazione, quanto meno parziale. In questo modo l'orfismo ha accreditato delle belle paure, di cui la dottrina di Epicuro sembra offrire buona testimonianza.


Louis Gernet - André Boulanger, Le génie grec dans la religion, Albin Michel, 1970 (1932), pp. 281-285 [traduzione mia, ho omesso le note]

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* Tiaso = associazione di carattere religioso nell'antica Grecia.

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