Matrimonio "cum manu" e "sine manu" nella Roma del II sec. a.C.

Il periodo delle grandi conquiste imperialistiche introduce in Roma sensibili mutamenti sociali, che non mancano di ripercuotersi sensibilmente anche sulla condizione femminile.

Le continue guerre aprono spazi vuoti nei ranghi della nobilitas e creano molte vedove, che però, grazie alla possibilità di ereditare riconosciuta alle donne in mancanza di testamento scritto, si ritrovano spesso molto ricche e padrone di loro stesse; la legge consente loro di scegliersi liberamente un tutore, senza la necessità di risposarsi.

L'antica prassi del matrimonio cum manu diventa sempre meno frequente, mentre si diffonde il matrimonio sine manu, nel quale la moglie non passa sotto l'autorità del marito, ma rimane sotto quella del padre, cosicché, quando quest'ultimo muore, la donna diviene sui iuris, cioè padrona di se stessa e proprietaria dei suoi beni.

La società romana, quindi, conosce per la prima volta donne ricche e potenti, che amministrano da sé i propri beni e, se vedove, allevano i propri figli, senza bisogno di un tutore.

Questo mutato stato di cose comporta reazioni contrastanti: da un lato, si riconosce alle donne il diritto di essere eredi testamentarie e di fare a loro volta testamento, ma dall'altro la lex Voconia del 169 limita per le donne la possibilità di ereditare grandi patrimoni.

La legge è sostenuta da Catone, che, nella sua arringa, mette in luce tutte le conseguenze negative di un'eccessiva ricchezza femminile; e si può pensare che le sue parole rispecchiassero l'opinione corrente.

In sostanza, alle donne è riconosciuto il diritto all'eredità solo quando questo viene ritenuto indispensabile per salvaguardare l'integrità patrimoniale della famiglia; e anche in questo caso si provvede a limitare ogni possibilità di arricchimento economico, per evitare che le donne acquistino troppo peso nella vita economica e sociale.

In effetti, nel II secolo si registrano alcuni episodi di ingerenza delle donne in campi che erano tradizionalmente a loro preclusi.


È del 195 la famosa invasione del centro di Roma come forma di protesta contro la lex Oppia, che vietava il lusso eccessivo nell'abbigliamento: questa protesta, nuova nella storia di Roma, è sentita come un attentato alle prerogative degli uomini, i soli a potersi occupare di politica. Pochi anni dopo, nel 186, scoppia lo scandalo dei Baccanali, le feste bacchiche celebrate sull'Aventino e guidate dalle donne. Questi culti, con le loro manifestazioni orgiastiche, sono già di per sé ritenuti poco confacenti alla dignità del civis Romanus, ma il fatto veramente grave è che due matrone osino iniziare al culto bacchico i propri figli maschi. Con questa iniziativa esse, in un certo senso, invadono il campo del pater familias, che è l'unico a poter introdurre i figli maschi in ambienti pubblici, siano essi politici o rituali. Le due donne vengono processate e ritenute colpevoli, ma la punizione è affidata ai loro padri, con un gesto che vuol sottolineare come la donna appartenga alla sfera del privato, della famiglia, e là debba rimanere.

Nonostante queste resistenze della tradizione, nella prima  metà del II secolo la donna romana cambia stile di vita: esce di casa, assiste ai giochi, frequenta gli spettacoli teatrali maggiori e, nel complesso, gode di maggiore libertà di movimento.

La nuova formula del matrimonio sine manu, infine, rende assai più diffusa e più facile, sia per l'uomo che per la donna, la pratica del divorzio, che è libero, non comporta penalità e non richiede un motivo specifico o particolari formalità.

 

P. Frassinetti - L. Sciolla - M.T. Sciolla, Letteratura latina: storia e testi. Le origini e l'età repubblicana, Minerva Italica, 1998, p. 244.

Commenti