La posizione di B. Croce sulla realtà dei poteri magici

Benedetto Croce

Riassumiamo, dunque, la posizione crociana sulla questione dei «poteri magici» quale emerge dal dibattito con De Martino. Per Croce, i poteri paranormali esistono, ma rappresentano la presenza residuale di una fase arcaica dello spirito, tipica del «mondo primitivo». Essi non vanno quindi esaltati quali fossero facoltà superiori - come voleva tutta una letteratura occultista e spiritualista della prima metà del Novecento che Croce aveva in spregio - ma riconosciuti, piuttosto, come tracce di un'arcaicità da cui l'uomo moderno, trasportato del progresso dello spirito nella storia, si è definitivamente affrancato.


Un simile giudizio viene ribadito in modo definitivo, sempre nel 1948, nel saggio Sulla conoscibilità e inconoscibilità del mondo misterioso. 263 In esso Croce afferma nuovamente, senza troppe esitazioni, la sua convinzione circa l'esistenza di certi fenomeni parapsicologici: «Parecchi di noi avranno avuto esperienza o avranno saputo con certezza di malati i quali vedevano, attraverso le mura, quel che accadeva in stanze lontane dalla loro, o che leggevano un libro ponendoselo aperto sul ventre». 264 Hegel stesso, fa notare Croce, non disconosceva affatto la realtà dei poteri magici. E Croce spiega così:


S'intende bene perché si sia tratti a non vedere o a negare capacità ora abbandonate e ottuse, che esistevano vivaci e forti quando l'uomo, più prossimo all'animalità, vibrava di più stretta relazione simpatetica cogli altri esseri, e in generale con la natura: capacità diventate poi ingombranti e niente o poco utili nell'ulteriore svolgimento e nella crescente civiltà, alla quale bisogna il potenziamento di altre capacità e soprattutto di quella del pensiero e dell'educazione tecnica. 265

[...]

L'uomo, sembra dire Croce, è in rapporto permanente con forze di ogni tipo, comprese quelle dei disincarnati, e cioè basti a spiegare la maggior parte dei cosiddetti poteri «magici». Tale simbiosi è naturale, dato il principio dell'Uno-Tutto. Non si dà separazione reale tra gli esseri, perché tutti coesistono in seno all'unico spirito da cui ogni cosa scaturisce. Solo, l'uomo non può cercare di conoscere nei dettagli questa sinergia, i rapporti che l'uniscono ai trapassati, e la realtà oltremondana in cui i trapassati stessi si muovono. Si tratterebbe, infatti, di una «delusoria ricerca», la quale ci sottrarrebbe a quella parte di mondo in cui ci è dato di vivere e - storicamente - evolvere. Se i «maghi primitivi», dunque, erano «forse non inutili», 267 quelli moderni hanno ormai perduto qualsiasi funzione. L'uomo moderno, infatti, si avvale della ragione come strumento principe che gli permette di indagare il reale. L'unità del Tutto, in cui convibrano forze di vivi e di trapassati, può essere pensata dal filosofo, e conosciuta con il suo pensiero. Ma non è lecito andare oltre senza travalicare i limiti in cui deve espletarsi il lavoro intellettuale ed esistenziale dell'uomo, limiti che definiscono e racchiudono il «solo recinto del nostro fare».

 


Francesco Baroni, "Benedetto Croce e l'esoterismo" in Annali dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici, XXVI, Il Mulino, 2011, pp. 324-327

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 263 Questo breve testo, che all'interno del XII numero dei «Quaderni» segue l'articolo su De Martino, rappresenta manifestamente uno sviluppo delle «cartelle» dedicate «ai giudizi dello Hegel sui fatti del magnetismo simili» scritto il 17 giugno 1948, e che Croce aveva poi «strappato» per dare la precedenza alla critica del Mondo magico (cf. sup.). 

264 Sulla conoscibilità e inconoscibilità del mondo misterioso, «Quad. `Critica'», XII (1948), p. 65.

265 Ibid., p. 64.

267 «I 'misteri', ai quali apportavano provvisorii rimedii i forse non inutili maghi primitivi e che ora sono un campicello coltivato da personaggi, a dir vero, non molto utili alla moderna società; e gli altri 'misteri', ben più alti che le fedi e le teologie e i culti delle religioni rivelate adorano, si rischiarano nella luce della poesia e dell'arte, e si formulano nelle verità che le filosofie, lungo il processo delle storie, infaticabilmente producono, tengono in vita, accrescono e perfezionano, le quali non sopprimono ma ingentiliscono il sentimento del nulla e del tutto che è dell'individuo, e della sua indipendenza e dipendenza insieme dal cosmo, che è più di lui ed è lui» (ibid., pp. 66, 67).


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