L'ultima intervista di Ernesto De Martino

[Questa intervista apparve sull'Europeo nel maggio del 1965. De Martino non fece in tempo a vederla perché morì poco dopo averla rilasciata. Tutto il testo - di cui riporto solo una parte - è molto interessante per la luce che getta sul pensiero dell'ultimo De Martino sui fenomeni paranormali e sul modo di intendere la realtà fenomenica in rapporto a quella psichica/culturale.]

 

 

Ernesto De Martino verso la fine degli anni '50


Che cosa pensa dei fenomeni spiritistici? Molti se li spiegano con l'esistenza di altre dimensioni, la presenza dell'anima, un ritorno dei morti, eccetera.

Il rapporto uomo-mondo non è affatto un rapporto tranquillo e stabilito: può dissolversi. In fondo, il mito di Atlante che sostiene il mondo (l'uomo che sostiene il mondo) è un mito pieno di saggezza poiché è l'uomo che mantiene i rapporti col mondo. Ma questo rapporto può dissolversi. Nella misura in cui si dissolve (nei momenti critici si dissolve) possono affiorare senza dubbio fenomeni di disorganizzazione o di caos che, rispetto al mondo, sono per eccellenza un aldilà. Questi fenomeni non sono irreali: rappresentano la follia della realtà. La follia del mondo. Il crollo del mondo. Infatti nessuna società si fonda sui poteri magici. Il cacciatore potrà fare l'incantesimo prima di andare a caccia, ma nessuna civiltà di cacciatori si riduce a incantesimi. Che poi nei momenti critici dell'esistenza si stabiliscano nuovi rapporti, che questi rapporti siano manifestazioni di un ordine caotico, che in questo ordine caotico si dissolvano i rapporti usuali di spazio e di tempo fino a dar luogo a fenomeni di precognizione, di chiaroveggenza, di telepatia, eccetera, tutto questo non lo escludo affatto, ma è soltanto il crollo della persona e del rapporto uomo-mondo. Nella misura in cui questo rapporto si dissolve, si verifica la fine del mondo.


In parole più semplici, questi fenomeni hanno un'esistenza oggettiva o vengono registrati da un io in disgregazione?

Sono fenomeni registrabili anche da apparecchi. La follia della realtà è una realtà. Sono il venir meno delle forze psichiche di fronte a quelle fisiche che perdono il loro confine. Non c'è più confine tra fisico e psichico; come pure tra psichico e psichico, cioè tra me e te.


Ma se queste cose possono essere registrate da apparecchi non suggestionabili, vuol dire che c'è un'influenza di queste forze sulla materia e sulle leggi che normalmente reggono la materia.

Esatto. Il che dimostra però come queste leggi consistono nel rapporto di uomini, distinti tra di loro o riuniti in società, con un mondo che essi cercano più o meno di controllare tecnicamente secondo la loro prassi quotidiana. Nel momento in cui crolla tutta questa struttura, insorgono nuovi rapporti che gli apparecchi possono benissimo controllare.


Ma ciò farebbe presupporre che la esistenza oggettiva della materia e le sue leggi e la sua organizzazione dipendono dall'esistenza di collettività umane organizzate!

Infatti non si può separare il mondo dalle collettività umane.


Le leggi della natura sì.

Neppure le leggi della natura possono essere separate dall'uomo e dalla società che ha costruito questa natura.


Non l'ha costruita, l'ha irregimentata, incanalata.

Ma al limite, che cosa si trova? Eliminiamo tutto quello che l'uomo ha fatto in passato e può fare. Sperar di trovare la natura in sé, indipendentemente dall'uomo e da qualsiasi tipo di attività umana o anche elementarmente animale, è una finzione molto utile nell'interno della scienza ma che dal punto di vista filosofico non regge. Proviamo ad immaginare veramente una natura senza l'uomo. La natura che io vedo, senza di me chino ad osservarla, in realtà è sempre una natura fortemente culturalizzata in cui sono stratificate le collaborazioni di altre generazioni, anche di animali, e di altre forme vitali che hanno preceduto l'uomo.


Comunque esistono leggi oggettive della natura controllabili scientificamente le quali vengono sovvertite in certi momenti da alcuni atteggiamenti di esseri umani.

Vengono sovvertite da determinati esseri umani i quali non stanno ai patti della vita culturale. Uomini che vengono meno al patto civile e stabiliscono rapporti oggettivi dentro questi limiti. E quindi, in un certo senso, l'aldilà esiste. Esistono almeno queste forze, ma nessuna civiltà può fondarsi su di esse. Possono emergere, rappresentare una tentazione ed essere utilizzate nell'ambito culturale di una data civiltà, possono essere controllate attraverso pratiche magiche. Ma nessuna civiltà si fonda su di esse. Se si ammettessero queste forze come forze di cui noi disponiamo e che possiamo sviluppare, la telepatia, la chiaroveggenza (che in passato era privilegio di alcuni individui, privilegio del mago) dovrebbero diventare in un nuovo equilibrio qualcosa di cui disponiamo tutti, allo stesso modo dell'occhio per la vista, eccetera. Prendiamo l'esempio della precognizione, che è certamente un fenomeno reale: distruggerebbe qualunque civiltà.

 

[...]

 

Lei dà la precognizione per scontata, ma come la spiega?

Lo spazio e il tempo, l'esistenza di un passato e di un futuro che deve ancora accadere... La limitazione nostra di non sapere il futuro nasce dal fatto che noi siamo individui separati gli uni dagli altri, che abbiamo un arco vitale biologicamente definito, con un punto di partenza che è la nascita, un altro punto di arrivo che è la morte, e via dicendo. Ma quando questo ordine temporale viene sconvolto, soppresso, nello stesso modo in cui i rapporti spaziali risultano sovvertiti e quanto accade a diecimila chilometri di distanza mi appare come se accadesse qui, e non ha quindi più senso parlare di «qui» e «lì», non ha più senso nemmeno parlare di «prima» e di «dopo».

 

Eppure la differenza sembra radicale, fra tempo e spazio.

Ciò è dovuto a un residuo di culto scientifico, di feticismo per i risultati della scienza.


Immaginare un uomo capace di ricevere e di trasmettere come una radio quanto avviene in un raggio di spazio anche ampio è cosa abbastanza comprensibile. Immaginare invece un uomo capace di sapere in anticipo sul tempo quanto avverrà fra dieci o cento anni, come se il futuro fosse già avvenuto, è cosa molto più ardua.

Ma il futuro non è già avvenuto: è già in preparazione, è già incluso. Sono io che nella mia limitazione non lo vedo come futuro. Nella mia limitazione storica, di signor Ernesto De Martino, con tanti anni anagrafici e quindi con un passato che, per me, non esiste più e con un futuro che non esiste ancora. Ma è la mia individuazione che, come mi individua nello spazio, per cui io sono qui e non lì, così mi individua nel tempo per cui io sono ora e non prima e non domani: per domani devo aspettare. Questo futuro è in preparazione secondo la misura della cultura umana, secondo la misura della civiltà; ma se tu sfasci tutto, il discorso non ha più senso e ti appaiono i rapporti che verranno domani e che poi in realtà non è domani, perché il domani e l'ieri e l'oggi si confondono insieme. Tu disarticoli il nesso prima-ora-dopo come tu disarticoli il nesso qui-là. I rapporti di distinzione tra il futuro, il passato e il presente sono rapporti culturali e che hanno senso nell'interno della cultura. Se sfasci questi rapporti culturali, ed è possibile sfasciarli in ogni momento, puoi anche immaginare una contemporaneità di tutto.


Le altre facoltà paranormali, invece, non toccano in niente la concezione attuale dell'uomo: possiamo benissimo accettarle senza che questo cambi le nostre idee sulla materia. È solo il rapporto temporale che sovverte ogni cosa.

Si potrebbe escogitare una teoria fisica in cui il futuro riesce a essere previsto.


Ma solo se già accaduto, altrimenti come si fa?

Può essere previsto quanto accadrà. E questo non attraverso un calcolo: questo lo fa abitualmente la fisica quando calcola, appunto, le previsioni.


Già: attraverso la conoscenza di miliardi di fattori che comporranno il futuro con le variazioni e le permutazioni.

Sì. Ma nel momento in cui si sprofonda nell'indistinto i miliardi valgono uno e uno vale un miliardo. Il calcolo ha valore in quanto tu sei un individuo isolato nello spazio e nel tempo.


Allora l'individuo che riesce a prevedere il futuro è dotato, in quel momento in cui riesce a farlo, di un potere totale di conoscenza?

Di un potere totale di conoscenza; e del potere quindi di perdere la sua individualità nel tempo e nello spazio e di immergersi in quello che si chiama «tutto», per intenderci. In quel tutto dove effettivamente il passato, il presente e il futuro, come il qui e il lì, non hanno senso.


La morte è allora qualcosa di analogo a questo immergersi in un tutto?

Il profeta o il chiaroveggente, il preconoscente è un individuo che si avvicina nel futuro, poi rientra in sé e comunica, annunzia; ma rientra in sé e continua a vivere...


Il morto, invece, non torna.

Il morto, evidentemente, è sprofondato nel continente sommerso. Quell'altro ha sentito qualcosa del continente sommerso ma continua a essere un isolotto.


Ma quando anch'egli sprofonderà nel continente sommerso, tutto quello che formava la sua individualità, la sua personalità, la quantità dei sentimenti come la qualità del suo pensiero, dove va a finire?

È un problema che non riesco a pormi, perché non riesco a mettermi dal punto di vista del continente sommerso [...]


Quindi la morte non è, per lei, una fine completa.

Nella misura in cui, in una seduta spiritica, sprofondano i viventi, sprofondando, tornano diciamo a disarticolare i loro rapporti; e in questa disarticolazione appaiono i morti. Ma questo non mi permette ancora di trarre delle conclusioni: che dopo morti c'è un ade dove vanno le anime e poi in determinate circostanze possiamo evocarle e loro, qualche volta, si fanno vedere. Io, l'ho già detto, questa via di recupero non la posso più usare in buonafede. Perché mi rendo conto che tradirei il mio passato e il mio presente.


Ma se, in una seduta spiritica, comparisse sua madre, lei penserebbe che è qualcosa di sua madre assimilato da lei stesso e che, in date circostanze, emerge: o riterrebbe invece di trovarsi dinanzi a una parte della precisa entità che fu sua madre?

La psicologia del profondo conduce ad analisi molto interessanti sebbene il suo scandaglio non riesca a penetrare oltre un certo limite. In me c'è, compreso sotto il livello della conoscenza, tutto il resto del mondo e naturalmente, in forma più prossima, c'è senza dubbio mia madre. [...]


Quindi questi fenomeni spiritistici dipendono dalle persone vive presenti o sono qualcosa al di fuori di noi?

Io non riesco a collocarmi al di fuori degli uomini viventi in rapporto fra di loro; sia che questo rapporto lo costituiscano secondo le regole della scienza, sia che lo costituiscano secondo altre forme di rapporti [...]


"Rapporto sull'aldilà. L'ultima intervista di Ernesto De Martino", in L'Europeo, A. XXI, n. 21, 23/05/1965, pp. 84-86, intervista a cura di Fausta Leoni.

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