Fenomeni parapsicologici e realtà come mondo-immagine

[Il libro "Jung parla" raccoglie interviste e testimonianze sparse sulla vita e il pensiero del grande psicoterapeuta. I tre brani sono tratti dai taccuini di Esther Harding, 1948, da un intervento di Jung all'Associazione di Psicologia di Basilea del 1958 e da un'intervista dal titolo "Alle frontiere della conoscenza" rilasciata allo scrittore Georges Duplain nel 1959.]

C.G. Jung in vecchiaia nella sua casa svizzera di Küsnacht

 I.

In diverse occasioni il dottor Jung parlò di fenomeni parapsicologici. Disse che secondo lui i dati osservati si potevano spiegare solo con l'ipotesi che il tempo sia un fenomeno psichico, cioè un condizionamento della psiche o della coscienza. Una volta che ci si riesca a porre al di fuori di questo condizionamento dell'Io, il tempo diventa del tutto relativo e il momento presente è pari all'eterno. Questa constatazione, tuttavia, non ci dice niente sull'immortalità o sulla vita dopo la morte; si riferisce soltanto alla qualità della nostra esperienza.

Come prova portò la diversa durata che può avere nell'esperienza soggettiva un periodo di tempo oggettivamente misurato. E poi c'è il tempo dei sogni in cui vicende lunghissime accadono in un tempo oggettivamente molto breve. E la storia raccontata da Zimmer su quel sant'uomo che voleva conoscere il karma di Viṣṇu e fu mandato a prendere l'acqua e incontrò una fanciulla, passò la vita con lei e, al ritorno, trovò il dio che stava finendo in quel momento la sua sigaretta... o qualcosa del genere.

[...]

Descrisse anche diverse esperienze di fenomeni psichici collegati con la morte di persone lontane: presenze invisibili, mobili che scricchiolano, oggetti che cadono. A lui stesso era capitato di fare sogni premonitori sulla morte di conoscenti o di sentire una presenza invisibile nel momento della loro dipartita.

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Parlò anche dell'esteriorizzazione della libido: come a volte quando aveva un'idea importante, ma non ancora del tutto conscia, i mobili e gli infissi di tutta la casa si mettessero a scricchiolare e a disserrarsi; anche sua moglie li sentiva, non solo lui. Una volta, mentre stava per addormentarsi, si udì un enorme botto alla porta, che poi si ripeté, svegliandolo del tutto. Mentre stava per addormentarsi ebbe la visione di un pesce e, nell'istante in cui affondava nel sonno, l'armadio diede un grande gemito; C.G. spalancò gli occhi ed ecco un grosso pesce uscire dall'angolo di sopra dell'armadio.

Ci raccontò anche delle sue allucinazioni a proposito dei mosaici di Ravenna. Fu nella penombra azzurrina del Battistero, che lui e la signorina Wolff videro i mosaici. Anzi rimasero lì a parlarne per una mezz'ora, meravigliati di trovarvi raffigurato Pietro, Pietro che cammina sulle acque ed è salvato da Cristo, insieme ad altre scene acquatiche (Mosè che fa scaturire l'acqua dalla roccia; giona con la balena; la pesca miracolosa). Al ritorno C.G. parlò di quei mosaici al seminario (del 1929?) e, quando il dottor Meier si recò a Ravenna, un paio di anni dopo, gli raccomandò di andarli a vedere e di portargliene una riproduzione, visto che lui e la signorina Wolff non erano riusciti a trovarne una in tutta la città. (C'ero anch'io al seminario). Al suo ritorno il dottor Meier gli disse che non esisteva nessun mosaico del genere. C.G. non voleva crederci. Poi, anni dopo, gli capitò di leggere la storia della principessa che aveva fatto voto di donare dei mosaici così fatti se fosse scampata al naufragio. I mosaici furono eseguiti ma andarono distrutti in un incendio della vicina chiesa di San Giovanni; esisteva ancora lo schizzo di quei mosaici, ma Jung non l'ha mai visto [pp. 241-44]

 

II.

[...] i nostri concetti di spazio e di tempo secondo la prospettiva causalistica e razionalistica sono incompleti. Per arrivare a un quadro completo del mondo, dovremmo aggiungere un'altra dimensione, altrimenti non riusciremo mai a spiegare in modo unitario la totalità dei fenomeni. Ecco perché i razionalisti sostengono a spada tratta l'inesistenza di esperienze come la chiaroveggenza e simili: perché la loro visione del mondo si regge o crolla a seconda della realtà di questi fenomeni; se sono reali la nostra visione razionalistica del mondo è insostenibile. Ma, come sapete, nella fisica moderna la possibilità che l'universo abbia più dimensioni non è più negata. Dobbiamo fare i conti con il fatto che questo mondo empirico in un certo senso è solo apparenza, che è come dire che è connesso con un altro ordine di cose al di sotto o al di là di esso, dove «qui» e «là» non hanno senso; dove non si dà estensione nello spazio, il che significa che lo spazio non esiste, e non si dà estensione nel tempo, cioè il tempo non esiste. Ci sono esperienze dove lo spazio è ridotto del venti per cento o il tempo del novanta per cento, sicché il concetto di tempo è valido solo per il dieci per cento. Se questo è vero (e non vedo come si possa confutarlo), dobbiamo ammettere che una parte della nostra vita psichica si svolge al di fuori dello spazio e del tempo, ovvero, come si potrebbe anche dire, lo è solo in un arco infinito di tempo.

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Noi vediamo un mondo tutto coscienza, dal quale in realtà non si possono trarre conclusioni, ma nello stesso tempo sappiamo per esperienza che c'è come un retroterra, che è assolutamente necessario, altrimenti non potremmo spiegare i fenomeni del mondo sensibile. Voglio dire che la precognizione del futuro o una percezione spaziale extrasensoriale non si possono spiegare con il possesso di particolari facoltà tipo radar, perché neppure il radar più raffinato è in grado di prevedere un evento che avrà luogo di lì a quindici giorni. Usiamo sempre questa analogia del radar per spiegare la visione a distanza nello spazio, ma per spiegare la visione a distanza nel tempo il paragone non regge più [pp. 467-469]

[...]

Non abbiamo prove che alcuna parte di noi si conservi necessariamente per l'eternità. Ma possiamo ipotizzare con un alto grado di probabilità che qualche parte della nostra psiche continui a esistere. Se tale parte sia in se stessa conscia non lo sappiamo. Possiamo però fare la considerazione, basata sull'esperienza, che le parti scisse della psiche, nella misura in cui sopravvivono, lo fanno sempre sotto forma di personalità, come se possedessero una coscienza autonoma. ecco perché le voci che il malato di mente sente sono personificate. tutti i complessi dissociati, ove si esprimano, parlano sempre in forma personale. se volete, o se ne sentite il bisogno, potete prenderla come un'argomentazione a favore della continuità della coscienza. In generale si potrebbe dire: poiché la coscienza è un importante fenomeno psichico, perché non dovrebbe essere proprio quella parte della psiche a non essere influenzata dallo spazio e dal tempo? In altre parole, la coscienza continuerebbe a esistere relativamente svincolata dallo spazio e dal tempo, il che, tuttavia, non sarebbe affatto una prova di immortalità, bensì di un'esistenza che continua per un tempo indefinito dopo o al di là della morte.

A sostegno di questa ipotesi psicologica si può inoltre addurre il dato esperienziale che, in condizioni che clinicamente sono da considerarsi di totale incoscienza, a seguito per esempio di anemia o di commozione cerebrale, possono tuttavia aversi sogni estremamente complessi, presupponenti un alto grado di attività cosciente e la presenza di una coscienza individuale, a dispetto del fatto che il buon senso e la scienza ci dicono che non è più possibile alcuna attività psichica. Per esempio, se io cado in un coma profondo, in cui sono completamente incosciente, rimane la possibilità che durante il coma si produca un grande sogno. ebbene, chi lo manda, e dove avviene? La medicina ci dice che, per mancanza di apporto sanguigno, il cervello è incapace di fare da supporto alla coscienza. Ma allora come fa a dare supporto a un sogno in cui è presente una coscienza individuale? Due fisiologi tedeschi hanno pubblicato un lavoro molto interessante sui fenomeni di levitazione soggettiva a seguito di lesioni cerebrali. Casi del genere sono stati osservati abbastanza di frequente, benché si tratti comunque di fenomeni rari. Per esempio, un soldato colpito alla testa in combattimento giace a terra come morto. Ma, nella sua coscienza soggettiva, si libra in aria nella stessa posizione in cui giace per terra. Il rumore della battaglia è completamente estinto, il soldato vede tutto il campo sotto di lui, vede i compagni, ma tutto è immoto e nel più assoluto silenzio; poi sente fare il suo nome, è un compagno che lo chiama, e lui riprende i sensi e adesso è davvero un soldato ferito. Ma fino a un istante prima era in uno stato di levitazione, è come se fosse stato sollevato al di fuori di questo mondo, e il mondo, benché continui a esistere ed egli ne abbia qualche percezione, non lo tocca più. Secondo i nostri criteri ordinari, quella persona si trova in uno stato di totale incoscienza. Eppure, nella sua incoscienza, essa fa un'esperienza soggettiva che è esclusivamente psichica e che può legittimamente essere posta sullo stesso piano della coscienza. [pp. 470-71]


III.

Come è arrivato alla sua concezione globale dell'essere umano, della totalità?

Empirismo, mi creda, osservazione. Bisogna rendersi conto che il fatto psicologico è tutto: la percezione rende psichica la realtà, noi viviamo in una sorta di mondo-immagine, quale i nostri sensi e la nostra intelligenza possono percepire; la realtà vera non la conosciamo, perché nella sua totalità non è percepibile da noi. Ma abbiamo una quantità di segni della realtà che sta dietro. Ed è nostro dovere cercare di capire ciò che sta oltre. [pp. 511-12]

 


W. McGuire - R.F.C. Hull (a cura di ), Jung parla. Interviste e incontri, Adelphi, 1999. Le sottolineature sono mie, come pure le parti tra parentesi quadre.

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