Due letture della figura del "Grande Inquisitore" dostoevskiano: Weber e Berdjaev

[Questi due brani sono tratti da una raccolta di testi di diversi autori che riflettono sulla figura del Grande Inquisitore, come appare nel romanzo di F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, e sulle interpretazioni che ne sono state date da autori classici in diversi ambiti culturali]

F. Dostoevskij

 

L'etica dell'intenzione e l'etica della responsabilità in Max Weber

Il riferimento alla figura del Grande Inquisitore compare alla fine di una sequenza di quattro capoversi, il primo dei quali è dedicato alla caratterizzazione dei due modelli etici e delle logiche che ispirano i due differenti tipi di normatività (1919: 109-10). La differenza incolmabile che separa l’etica dell’intenzione dall’etica della responsabilità è relativa in primo luogo alla relazione profondamente diversa che viene stabilita fra azione e valori, fra valori e mondo. L’etica dell’intenzione è un’etica dell’attenzione esclusiva al senso (Sinn) intrinseco dell’azione e dell’indifferenza per i suoi risultati [= la figura di Gesù di fronte all'Inquisitore in Dostoevskij]. La bontà di un’azione viene misurata esclusivamente sulla adeguatezza e la coerenza del singolo comportamento rispetto al valore etico in cui si crede. È in qualche misura un’etica del disinteresse per il mondo, come testimonia la massima che la riassume – fiat justitia, pereat mundus –, ed è al tempo stesso un’etica assoluta perché indifferente alla diversità dei contesti spaziali e temporali in cui l’azione si inserisce. La responsabilità di chi agisce secondo l’etica dell’intenzione non riguarda gli effetti che l’azione produce nel mondo, ma la congruenza fra comportamento e valore: “il cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio”. Disinteressata a cambiare il mondo, l’etica dell’intenzione è un’etica dell’esemplarità, della testimonianza della capacità umana di agire in modo eticamente puro. La responsabilità per le conseguenze eticamente perverse che un agire gesinnungsethisch spesso finisce per produrre non ricade sul soggetto agente, ma sul mondo, sulla sua irredimibile corruzione, sulla stupidità e malvagità degli esseri umani. Il mondo è un palcoscenico in cui occorre dar prova della capacità di fare la propria parte, ma di cui non si aspira a modificare il funzionamento perché, in definitiva, non risulta investito di valore.

Di contro, nell’etica della responsabilità [= quella del Grande Inquisitore] ad essere posto in relazione con il valore non è il significato del comportamento, ma gli effetti che questo produce nel mondo. La qualità etica dell’azione non dipende qui dall’adeguatezza della singola azione al valore, ma dalla coerenza fra gli effetti dell’azione e il valore etico che orienta l’agire. Qui l’imperativo morale è cambiare il mondo, renderlo eticamente migliore, producendo trasformazioni che possono essere valutate positivamente dal punto di vista etico. Non il mondo, ma il singolo individuo sarà, dunque, responsabile delle conseguenze prevedibili del proprio agire. L’etica della responsabilità è, così, un’etica del contesto: non si inchioda ad imperativi assoluti, ma si modifica in funzione della contingenza e presuppone, perciò, il costante riferimento a conoscenze di fatto. La conoscenza fattuale è qui una componente essenziale della scelta etica. Sapere come funziona il mondo è un requisito indispensabile per un’agire interessato agli effetti. L’etica della responsabilità è interessata al mondo, gli riconosce valore e dignità, ed è orientata in base all’idea di poterlo, se non redimere integralmente, almeno cambiare in meglio.

Il secondo, breve capoverso imposta una questione cruciale per ogni etica politica: se e in che misura uno scopo moralmente buono possa giustificare il ricorso a mezzi che sono (o che producono effetti) moralmente pericolosi (1919: 110). Introdotto da Weber come dilemma etico di carattere generale, il problema della giustificazione dei mezzi a partire dagli scopi riguarda in realtà esclusivamente l’etica della responsabilità. L’etica dell’intenzione, infatti, non ha scopi, non fa progetti. Soltanto per chi attribuisce rilevanza etica agli effetti, voluti e non voluti, di un’azione si apre lo spazio concettuale per il problema se tali effetti/scopi possano giustificare il ricorso a mezzi eticamente sospetti. La questione della giustificazione dei mezzi attraverso gli scopi è quindi del tutto estranea a un atteggiamento gesinnungsethisch*. Per l’etica dell’intenzione il fine non giustifica mai i mezzi perché non ci sono fini. Per l’etica della responsabilità, invece, la questione della giustificazione del mezzo in virtù del fine deve essere decisa di volta in volta in funzione della situazione concreta, comparando riflessivamente i risultati dell’azione e quelli dell’omissione, gli effetti indesiderati di un mezzo con lo scopo che questo ci consente di raggiungere. L’etica della responsabilità funziona secondo il principio del bene maggiore o del minor male ed opera una scelta responsabile fra una pluralità di fini possibili anche in base alla valutazione etica dei mezzi necessari per conseguirli e alle loro conseguenze.

L’agire politico di chi segue l’etica della responsabilità è ciò che Weber chiama realismo politico (Realpolitik), nella sua radicale diversità dalla semplice politica di potenza (Machtpolitik) (D’Andrea 2005: 252-6). A differenza del Machtpolitiker che aspira al potere come fine in sé e che adatta le proprie prese di posizione alle contingenti chances di successo, il politico realista weberiano sceglie una causa (Sache) a partire dalle proprie opzioni di valore e si adatta al mondo esclusivamente in relazione alla scelta dei mezzi, valutando poi ogni volta la bontà del fine anche in base ai mezzi necessari per conseguirlo (Weber 1917b: 341-2). [pp. 96-98]


Berdjaev:  l'umiliazione dell'uomo a cui tende ogni progresso razionalizzante

In quegli stessi anni anche l’ex marxista Nikolaj Berdjaev, che alla figura dell’Inquisitore ritornerà più volte nel suo percorso teorico, attribuisce alla Leggenda un significato politico generale: «Lo spirito del Grande Inquisitore è vissuto nel cattolicesimo, nella vecchia chiesa storica in generale, nell’autocrazia russa, in ogni stato assoluto e costrittivo, ed ora questo spirito si sta trasferendo nel positivismo, nel socialismo, che pretende di sostituire la religione costruendo una torre babilonese» (Berdjaev 1907: 58).

Il nucleo centrale della Leggenda è l’antropologia che vi si esprime: mentre l’Inquisitore condivide con l’utilitarismo l’idea che l’essere umano sia per natura incline alla felicità, alla soddisfazione, e che sia razionale nel perseguimento del suo bene, l’antropologia cristiana autentica, che Berdjaev estende a Dostoevskij, fa dell’essere umano un essere irrazionale, per il quale la libertà ha un valore incommensurabile rispetto a qualsiasi bene possibile (Berdjaev 1918a: 225). Perciò per Dostoevskij così come per Berdjaev ogni prospettiva di «umanesimo razionale, di teoria razionalista del progresso, di costruzione sociale razionalizzata fino all’estremo, di tutte le utopie di palazzi di cristallo» risulta in ultimo «umiliante per l’essere umano, per la dignità umana» (1918a: 226). In questo senso, qualsiasi forma assuma l’Anticristo, «dalla più cattolica alla più socialista, dalla più cesarista alla più democratica», in ogni caso esprime sempre «l’ostilità per l’essere umano, la distruzione della sua dignità» (1918a: 231-2). È questo il contenuto della Leggenda che ne fa «un geniale poema metafisico, forse il più grande tra tutto ciò che è stato scritto dagli esseri umani» (1918a: 231). [pp. 239-40]

 

D. D'Andrea, "Il Grande Inquisitore di Max Weber", [pp. 96-98]; D. Steila, "Il Grande inquisitore nella filosofia russa", [pp. 239-40], in Il Grande Inquisitore. attualità e ricezione di una metafora assoluta, Mimesis, 2013. Titoli, sottolineature in rosso e commenti tra parentesi quadre sono miei.

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* Che si riferisce all'etica della responsabilità.

Opere citate nei brani che ho riportato:

- N. Berdjaev,  «Velikij inkvizitor» (1907), in Id., Novoe religioznoe soznanie i obščestvennost’, Kanon, Moskva 1999: 58-89.

- Id., «Otkrovenie o zeloveke v tvorčestve Dostoevskogo» (1918), in V.M. Borisov, A.B. Roginskij (a cura di), O Dostoevskom. Tvorčestvo Dostoevskogo v russkoj mysli 1881-1931 godov, Kniga, Moskva 1990: 215-33.

- D. D'Andrea, L'incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber, Carocci, 2005.

- M. Weber, «Der Sinn der “Wertfreiheit” der soziologischen und ökonomischen Wissenschaften», in Id., Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, J.C.B. Mohr, Tübingen 1951; tr. it. «Il significato della “avalutatività” delle scienze sociologiche e economiche», in Id., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1974.

- Id.,  Politik als Beruf, in Max Weber Gesamtausgabe, I/17, Mohr Siebeck Verlag, Tübingen 1984; tr. it. «La politica come professione», in Id., La scienza come professione, La politica come professione, Einaudi, Torino 1966.

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