Le radici storiche dei racconti di fate

[La celebre opera di Vladimir Ja. Propp affronta le origini più remote dei racconti di fate, cioè le fiabe in cui sono presenti elementi di magia. Secondo Propp, che adotta una prospettiva marxista, i racconti di fate sarebbero il risultato di un'evoluzione in altri contesti socio-economici di originari racconti mitici legati sia ai riti di iniziazione all'età adulta, sia a quelli inerenti il passaggio del morto al mondo ultraterreno. È uno studio interessante, che, per come è strutturato, con l'analisi di ciascun motivo ricorrente nelle fiabe, può anche essere considerato un'opera di consultazione, tanto più che nell'edizione Boringhieri a cui si riferisce questa scheda c'è anche un utilissimo indice degli argomenti. Chi volesse avvicinarsi alla lettura di questo studio farebbe bene a leggersi prima l'introduzione e poi il capitolo finale, che contiene il riassunto dei risultati della ricerca e orienta meglio la lettura del repertorio.]

 


 


Considerazioni finali [dal cap. conclusivo]

Se elenchiamo i risultati ottenuti disponendoli secondo le fonti o le loro rispondenze storiche, otteniamo il quadro seguente. Al complesso dell’iniziazione risalgono i seguenti motivi: la cacciata o l’allontanamento dei bambini nella foresta o il loro ratto a opera dello spirito silvano, la capannuccia, la promessa di vendita, gli eroi percossi dalla maga, l’amputazione del dito, gl’immaginari segni di morte mostrati ai superstiti, la stufa della maga, lo squartamento e la risurrezione, l’inghiottimento e l’eruttazione, il dono dell’oggetto fatato o dell’aiutante fatato, il travestismo, il maestro del bosco e la « scienza furba ». Il periodo seguente che va fino al matrimonio e il momento del ritorno si riflettono nei motivi della grande casa, della tavola che in essa è apparecchiata, in quello dei cacciatori, dei briganti, della sorellina, della bella donna nella bara, della bella donna nel giardino incantato e nel palazzo (Psiche), nei motivi dell’uomo che non si lava, del marito alle nozze della moglie, della moglie alle nozze del marito, del ripostiglio proibito e qualche altro.

Queste rispondenze ci permettono di affermare che il ciclo dell’iniziazione è la base piú antica del racconto di fate. Tutti questi motivi, presi nel loro insieme, si possono comporre in un numero infinito di fiabe diverse.

Un altro ciclo che rivela la sua rispondenza col racconto di fate è quello delle rappresentazioni della morte; ne fanno parte il ratto della fanciulla a opera del serpente, le varie specie di nascita miracolosa, come anche il ritorno del defunto, la partenza dell’eroe munito di calzature di ferro ecc., la foresta quale ingresso all’altro regno, l’odore dell’eroe, l’aspersione della porta della capannuccia, il banchetto in casa della maga, la figura del traghettatore-guida, il lungo viaggio sull’aquila, a cavallo, in barca, ecc., il duello col custode dell’ingresso che vorrebbe divorare il forestiero, la pesatura sulla bilancia, l’arrivo nell’altro regno e tutti i suoi accessori.

La somma di questi due cicli ci fornisce già quasi tutti (ma non tutti) gli addendi fondamentali della fiaba. Fra essi non è possibile tracciare un limite esatto. Sappiamo che l’intero rito dell’iniziazione era sentito come soggiorno nel paese della morte e, che, viceversa, il morto sperimentava tutto ciò che sperimentava l’iniziando: gli veniva dato un aiutante, s’imbatteva nell’inghiottitore, ecc.

Se immaginiamo tutto quel che accadeva all’iniziando e lo raccontiamo consecutivamente, ne viene fuori la trama sulla quale si ordisce il racconto di fate. Se raccontiamo consecutivamente tutto ciò che si credeva accadesse al defunto, ne viene fuori anche questa volta la medesima traccia, ma con l’aggiunta degli elementi che mancano nella linea dei riti sopraindicati. I due cicli messi insieme ci dànno già quasi tutti gli elementi costruttivi fondamentali del racconto di fate.

Che cosa abbiamo trovato? Abbiamo trovato che l’unità di composizione della fiaba non va ricercata in certe particolarità della psiche umana, né in una particolarità della creazione artistica, ma essa sta nella realtà storica del passato. Quel che oggi si racconta, un tempo si faceva, si rappresentava, e quello che non si faceva, lo si immaginava. Di questi due cicli, il primo (quello dei riti) si estingue prima dell’altro. Il rito non si celebra piú, le rappresentazioni della morte seguitano a vivere, si sviluppano, si modificano senza aver piú nessuna connessione col rito stesso. Lo sparire del rito si riconnette con lo sparire della caccia quale unica o fondamentale risorsa dell’esistenza.

Circa l’ulteriore formazione del soggetto, in base a quanto è stato detto dobbiamo immaginare che, una volta formatasi, questa traccia assorbe in sé alcune nuove particolarità o complicazioni derivate da una realtà nuova e piú tardiva. D’altro canto la nuova vita crea nuovi generi letterari (la fiaba novellistica), cresciuti su un terreno già diverso dal terreno della composizione e dei soggetti del racconto di fate. In altre parole l’evoluzione procede mediante stratificazioni, sostituzioni, trasposizioni di senso, ecc. e, da un altro lato, mediante neo-formazioni.

[...]  di solito si crede che nella fiaba si siano insinuati singoli elementi della preistoria, ma che nel suo complesso essa sia il prodotto di una « libera » creazione artistica. Noi vediamo invece che il racconto di fate consta di elementi che risalgono a fenomeni e a rappresentazioni esistenti nella società anteriore alle caste.

[...]  La coincidenza della struttura dei miti e delle fiabe con la successione degli avvenimenti che si svolgevano durante l’iniziazione, fa pensare che gli anziani raccontassero ai giovinetti ciò che accadeva loro, ma lo raccontassero riferendolo all’antenato fondatore della stirpe e delle usanze... 

[...]  In questa osservazione sono importanti due aspetti. In primo luogo, come già è stato rilevato, i racconti si svolgono insieme col rituale e ne costituiscono la parte imprescrittibile. In secondo luogo ci troviamo qui alle fonti di un fenomeno che è stato osservato fino ai nostri giorni, vale a dire del divieto di raccontare. Il divieto veniva emesso e osservato non per motivi di etichetta, ma per le funzioni magiche inerenti al racconto e all’atto stesso di raccontare [...] I miti non sono soltanto parti costitutive della vita, essi sono parte di ogni singolo individuo. Togliere il mito a un uomo è lo stesso che togliergli la vita. Al mito sono inerenti funzioni economiche e sociali, e questo non è un fenomeno particolare, è una legge. La divulgazione del mito lo spoglierebbe del suo carattere sacro e, a un tempo, anche della sua virtú magica o, come dice Lévy-Bruhl, della sua « virtú mistica ». Se perdesse i miti la tribú non sarebbe piú in grado di mantenersi in vita.

[...] 

Ma la fiaba, già spoglia di funzioni religiose, non rappresenta di per sé nulla che sia inferiore al mito dal quale è derivata. Al contrario, liberata dai convenzionalismi religiosi, essa evade nella libera atmosfera della creazione artistica che riceve il suo impulso da fattori sociali già diversi, e incomincia a vivere una vita rigogliosa.

Questo spiega l’origine non soltanto del soggetto dal punto di vista del suo contenuto, ma anche l’origine del racconto di fate come narrazione artistica.

 

Vladimir Ja. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, Boringhieri, 1976 (ed. or. russa, 1946), pp. 565-574, titolo e sottolineature sono miei.


 


 

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