Perché il tempo sembra passare più rapidamente quando si invecchia

Ci sono almeno due modi per esprimere il mistero del tempo e dell’età. La maggior parte delle volte quello che viene espresso è qualcosa di simile al concetto seguente: un dato arco di tempo sembra passare più velocemente ora di quanto non lo facesse quando eravate più giovani. Un anno, per esempio, sembra passare più velocemente quando avete quarant’anni piuttosto che quando ne avevate dieci o venti. James citò Paul Janet, un filosofo della Sorbona: «Chiunque conti tanti lustri nella sua memoria, deve solo chiedere a se stesso per scoprire che l’ultimo di questi, i cinque anni passati, è trascorso molto più velocemente dei precedenti periodi di tempo di eguale durata. Ricordatevi gli ultimi otto o dieci anni di scuola: occupano lo spazio di un secolo. Confrontateli con gli ultimi otto o dieci anni di vita: occupano lo spazio di un’ora».

Janet ideò una formula per spiegare questa impressione: l’apparente lunghezza di un dato arco di tempo varia in maniera inversamente proporzionale alla vostra età. Un anno sembra cinque volte più corto a un uomo di cinquant’anni che a un bambino di dieci, perché un anno è un cinquantesimo della vita dell’uomo e solo un decimo di quella del bambino. La proposta di Janet generò una serie di spiegazioni simili sul perché il tempo sembra accelerare con l’età; possiamo chiamarle «teorie proporzionali». Nel 1975 Robert Lemlich, un professore in pensione di ingegneria chimica alla University of Cincinnati, rivoluzionò la formula di Janet. (Lemlich era forse più conosciuto come uno degli inventori di un processo industriale chiamato foam fractionation, che usava della schiuma galleggiante per rimuovere i contaminanti da un liquido.) Lemlich teorizzò che la lunghezza soggettiva di un arco di tempo variasse in modo inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’età. Scrisse anche una vera e propria equazione

dS1/dS2 = √R2/R1


dove dS1/dS2 è la velocità relativa alla quale un intervallo di tempo sembra passare in confronto a qualche anno fa; R2 è la vostra età corrente e R1 è la vostra età a quel tempo. Se avete quarant’anni, un anno sembra passare al doppio della velocità di quando ne avevate dieci, perché la radice quadrata di 40/10 è 2. (Lemlich fu attento a segnalare che questa formula «presuppone l’assenza di qualsiasi esperienza traumatica o inusuale».) Le implicazioni di questa equazione possono essere scoraggianti. A rigor di logica, se avete quarant’anni e avete un’aspettativa di vita di settanta anni, avete vissuto il 57 per cento della vostra vita, ma secondo i calcoli di Lemlich voi avete già vissuto il √(40/70), o il 75 per cento, della vostra vita soggettiva totale. (D’altro canto, sempre secondo i suoi calcoli, non vi accorgerete mai che vi manca da vivere la metà del tempo di quello che in effetti vi manca.)

Lemlich fece un esperimento per testare questa equazione. Raccolse trentuno studenti di ingegneria (con un’età media di venti anni) e adulti (età media di quarantaquattro anni) e gli chiese di stimare quanto il tempo sembrava passare più velocemente o più lentamente adesso rispetto a due periodi della loro vita: quando avevano la metà della loro età corrente e quando avevano un quarto della loro età corrente. Quasi tutti risposero che adesso il tempo passava più velocemente rispetto a entrambi i periodi precedenti. Pochi anni più tardi, James Walker, uno psicologo della Brandon University, a Manitoba, raccolse simili risultati quando chiese a un gruppo di studenti più vecchi (età media: ventinove anni) «quanto sembra durare un anno al momento presente» rispetto a quanto pensavano che durasse un anno quando avevano la metà o un quarto della loro età corrente. Il 74 per cento rispose che il tempo passava più lentamente quando erano più giovani. Tra il 1983 e il 1991, Charles Joubert, uno psicologo della University of North Alabama, eseguì altri tre studi simili che sembravano confermare i risultati di Janer e Lemlich.

Il problema di presentare la questione così è che richiede un’opinione irrealisticamente ottimistica delle capacità della memoria umana. Non riesco a ricordare che cosa ho mangiato a pranzo mercoledì scorso, men che meno il mercoledì precedente. Quanto è plausibile che io possa ricordare con esattezza un’esperienza ancora più astratta – la velocità alla quale sembra passare il tempo – di dieci, venti, o quarant’anni fa? Inoltre, come notò anche James, le teorie proporzionali non forniscono molte spiegazioni: la formula di Janet «esprime grossomodo il fenomeno» scrisse, ma «non si può certo dire che chiarisca il mistero». James pensava che fosse più probabile che l’esperienza del tempo-che-accelera-con-l’età sia il risultato di una «semplificazione della visione retrospettiva». Quando siamo giovani quasi ogni esperienza è nuova, quindi rimane vivida anche anni più tardi. Ma con l’invecchiamento, abitudine e routine diventano la norma; le esperienze nuove sono di meno (ormai abbiamo provato tutto) e ci rendiamo conto a malapena del tempo che viviamo nel presente. Alla fine, scrisse James, «i giorni e le settimane sfumano in unità infinite nella memoria, e gli anni diventano vuoti e collassano». [Utile ricordare su questo punto il brano di Buzzati ne Il deserto dei Tartari, in cui viene magistralmente descritta la sensazione di accelerazione del tempo nella vita del protagonista: https://apidimandeville.blogspot.com/2016/02/la-trasformazione-della-percezione-del.html ]

La triste proposta di James appartiene alla categoria di quelle che si potrebbero chiamare «teorie della memoria», lungo la linea di ciò che propose Locke: giudichiamo la durata di un arco di tempo passato dal numero degli eventi che ricordiamo essersi verificati in quell’arco. Un periodo fitto di eventi memorabili in retrospettiva sembrerà essere passato più lentamente – sembrerà essersi preso più tempo – mentre un periodo privo di eventi sembrerà essere passato in un baleno, lasciandoci immaginare dove sia finito il tempo. Potenzialmente, la memoria potrebbe influenzare in molti modi la velocità alla quale il tempo sembra essere passato. Gli eventi emotivi tendono ad apparire più ampi nella memoria, così, a un genitore oberato di lavoro, i vostri cinque anni di superiori – il primo amore, la prima macchina, la maturità, tutti momenti vividi nella memoria, grazie all’aiuto di album di fotografie – potrebbero sembrare essere durati di più di cinque anni normali o comunque più a lungo degli ultimi cinque anni della vostra attuale vita, passati a fare i pendolari, sbrigare commissioni e lavare i piatti. Inoltre, sembra che tendiamo a ricordare alcuni periodi della vita, generalmente la nostra adolescenza e i vent’anni, in maniera più vivida rispetto ad altri – un fenomeno chiamato «il picco di reminiscenza» (reminiscence bump), che potrebbe contribuire alla sensazione che allora un determinato arco di tempo sia durato più a lungo.

Alla base delle teorie della memoria si trova la supposizione che con l’invecchiamento le nostre vite diventino, al confronto, meno memorabili. Ma esistono poche prove a supporto di questa tesi, e l’esperienza comune sembra contraddirla.

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C’è ancora un’altra spiegazione, più semplice, al mistero del perché il tempo pare passare più velocemente con l’avanzare dell’età: non lo fa. È un dato di fatto – il tempo non accelera davvero con il passare degli anni, è solo un’impressione. Ma alcuni ricercatori hanno iniziato a pensare che l’impressione in sé sia illusoria. Sembra solo che il tempo sembri passare più velocemente con l’avanzamento dell’età.

A una prima occhiata, i numerosi studi precedenti parevano dare risultati coerenti: più di due terzi dei soggetti – dal 77 all’82 per cento – dichiararono che il tempo sembrava passare più lentamente quando erano più giovani. Ma se l’impressione dev’essere presa così come data, uno si aspetterebbe che emerga in maniera progressiva con l’età. Se, di media, un anno sembra passare più velocemente quando avete quarant’anni di quando ne avevate venti, allora nei sondaggi dovrebbero essere più i quarantenni che i ventenni ad affermare che il tempo sta passando più velocemente di prima. O se viene chiesto a entrambi i gruppi di quantificare quanto in fretta sia passato l’ultimo anno, i quarantenni dovrebbero dire che è passato più rapidamente. Dovrebbe baluginare una qualche sorta di gradiente perché l’impressione che il tempo voli diventi sempre più pronunciata nei soggetti più anziani.

Ma i numeri non dimostrano niente di tutto ciò. L’impressione viene condivisa equamente e in maniera regolare nei vari gruppi di età: due terzi delle persone più anziane affermano che ora il tempo passa più velocemente di quanto non facesse quando erano più giovani – e anche i due terzi delle persone più giovani affermano la stessa cosa. In uguali proporzioni tra le diverse età, le persone affermano che il tempo accelera con l’avanzare dell’età. Il risultato è un paradosso: quasi tutte le persone di tutte le età hanno l’impressione che il tempo passi più velocemente con l’età, il che suggerisce che l’impressione, se è tale, ha poco a che fare l’età.

Cosa sta succedendo quindi? È chiaro che molte persone sentono qualcosa – ma che cosa? Parte della confusione è generata dal modo in cui questi studi chiedono ai loro soggetti di pensare al tempo. In un modo o nell’altro, tutti pongono una domanda a cui non si può rispondere in maniera affidabile: come hai vissuto il passaggio del tempo dieci, venti, o trent’anni fa? Al contrario, se c’è qualcosa da misurare, è come una persona si sente riguardo al passaggio del tempo in questo momento. Qui si hanno dei risultati un po’ più concreti. In generale, l’impressione che il tempo stia accelerando si collega più fortemente con lo stato psicologico di una persona, specialmente nel modo in cui si descrive l’«essere impegnato», piuttosto che con la sua età. Come espresso da Simone de Beauvoir: «Di giorno in giorno, il modo in cui si vive la fuga del tempo dipende dal suo contenuto».

Nel 1991, Steve Baum, uno psicologo al Sunnybrook Health Sciences Center di Toronto, analizzò insieme a due colleghi la sensazione dell’«essere impegnati» e la percezione del tempo nell’ambito geriatrico in un modo migliore. Intervistarono trecento persone anziane, la maggior parte erano donne ebree in pensione, di età compresa tra i sessantadue e i novantaquattro anni; metà erano attive e altre lo erano meno, e molte dell’ultimo gruppo vivevano in istituti o centri per gli anziani. Per prima cosa, ai soggetti vennero rivolte una serie di domande per valutare la loro felicità e salute emotiva. Successivamente gli venne chiesto «Quanto velocemente vi sembra che stia passando il tempo ora?» e di indicare la risposta con un 1 («più velocemente»), 2 («più o meno uguale»), o 3 («più lentamente»). Non venne specificato nessun intervallo di tempo particolare – una settimana, un anno – e rimase vago il significato di «più velocemente» o «più lentamente». (Più velocemente o più lentamente di che cosa? Di quando?) Tuttavia, i risultati furono in linea con quelli degli altri studi: il 60 per cento dei soggetti disse che il tempo passava più velocemente ora di quanto non facesse prima. Ma, in aggiunta, gli individui che lo affermarono tendevano a essere più attivi dei loro coetanei, vivevano quella che descrivevano come una vita piena, e dicevano che si sentivano più giovani della loro età biologica. Il 13 per cento dei soggetti disse addirittura che il tempo passava più lentamente ora – ed era più frequente che questi individui mostrassero segnali di depressione. I ricercatori conclusero che «il tempo non accelera con l’avanzare dell’età». Piuttosto, scrissero, accelera con il benessere psicologico dell’individuo.

La prova più evidente contro l’idea che il tempo sembri passare più velocemente con l’età arriva da tre studi condotti nel corso degli ultimi dieci anni circa. Nel 2005 Marc Wittmann e Sandra Lehnhoff, della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco, rivolsero a circa cinquemila soggetti tedeschi e austriaci, di età compresa tra i quattordici e i novantaquattro anni e divisi in otto gruppi di età, una serie di domande come:

Di solito, quanto velocemente passa il tempo per te?
Quanto velocemente ti aspetti che passi la prossima ora?
Quanto velocemente è passata la scorsa settimana per te?
Quanto velocemente è passato lo scorso mese per te?
Quanto velocemente è passato lo scorso anno per te?
Quanto velocemente sono passati gli ultimi dieci anni per te?

Per ogni domanda, i soggetti dovevano rispondere con una scala di cinque valori, da «molto lentamente» (−2) a «molto velocemente» (+2). A differenza degli studi precedenti, non ci si preoccupò di chiedere ai soggetti come si sentissero ora riguardo a un intervallo di tempo paragonato alla loro impressione di esso in un momento precedente delle loro vite. Invece, venne chiesto ai soggetti di età differenti come si sentissero ora riguardo alla velocità di diversi intervalli di tempo; era tutto al tempo presente.

I risultati erano abbastanza chiari: per ogni intervallo di tempo, ogni gruppo rispose, in media, con un 1 («velocemente»); non c’era una differenza statistica nei vari gruppi di età e c’erano scarsi indici che un numero maggiore di persone anziane sentisse che il tempo era passato più velocemente. Solo una categoria mostrò una lieve differenza: era più probabile che i soggetti più anziani dicessero che gli ultimi dieci anni erano passati velocemente rispetto ai soggetti più giovani. Ma l’effetto era basso e sembrava raggiungere il picco ai cinquanta anni; dai cinquant’anni ai novanta e più, tutti risposero che gli ultimi dieci anni erano passati con la stessa velocità (1).

Un esperimento molto simile, condotto nel 2010 su più di millesettecento soggetti olandesi di età compresa tra i sedici e gli ottant’anni, ha praticamente raggiunto gli stessi risultati. Ancora una volta, ogni gruppo di età rispose, di media, che ogni intervallo di tempo, da una settimana a dieci anni, passava «velocemente» (1). I ricercatori, William Friedman, dell’Oberlin College, e Steve Janssen, della Duke University e della Universiteit van Amsterdam, non trovarono differenze statistiche nei diversi gruppi di età e scarsi indicatori che un numero maggiore di persone più anziane sentisse che il tempo passava «velocemente» (1) rispetto alle persone più giovani. L’unica deviazione, così come nello studio di Wittmann e Lehnhoff, era una leggera evidenza che, con l’avanzare dell’età, le persone diventassero più propense a dire che gli ultimi dieci anni fossero passati molto velocemente – almeno fino ai cinquant’anni di età, superati i quali le risposte si stabilizzavano.

Le piccole variazioni che Friedman e Janssen osservarono nelle risposte erano attribuibili non all’età ma a quanto sotto pressione si sentissero i soggetti in quel momento della loro vita. Oltre alle domande sul passaggio del tempo, Janssen e Friedman sottoposero ai soggetti una serie di affermazioni studiate per valutare la loro sensazione dell’«essere impegnati», come per esempio: «Spesso non c’è abbastanza tempo per fare tutto quello che voglio o che devo fare» e «Devo spesso fare tutto di fretta per assicurarmi di riuscire a fare tutto». I soggetti risposero con una scala da −3 («fortemente in disaccordo») a +3 («assolutamente d’accordo»), e i risultati furono confrontati con quelli della loro percezione del tempo: era più probabile che i soggetti che riportavano che le ore, le settimane e gli anni passassero «velocemente» o «molto velocemente», rispondessero che le loro vite sembravano impegnate o che non erano in grado di svolgere tutto quello che volevano in un dato giorno. Nel 2014 i ricercatori ripeterono lo studio con più di ottocento soggetti giapponesi di tutte le età ed essenzialmente raccolsero gli stessi risultati. Complessivamente, sembrerebbe che il tempo non acceleri con l’età ma con il sentirsi sotto pressione, il che spiega come mai persone di tutte le età dicano che stia accelerando: il tempo è l’unica cosa che praticamente tutti in egual misura sentono che manca. Janssen mi disse che «tutti sentono che il tempo passa velocemente, su qualsiasi scala».


Alan Burdick, Perché il tempo vola e perché la felicità è un lampo e quando ci annoiamo le ore non passano mai, Il Saggiatore, 2018 (ed. or. 2017), pp. 219 ss. (ebook formato epub; sottolineature mie)

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